|
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA |
Non è stato dato quasi nessun rilievo da parte dei media italiani, mi pare, a una
notizia appena giunta dalla Gran Bretagna, che pure potrebbe rivelarsi tra le più
importanti degli anni che stiamo vivendo. Già adesso, anzi, si può dire con sicurezza
che lo sia.
Riguarda l'ingegneria genetica. Nell'ambito di un brevetto riconosciuto al Roslin
Institute per un processo di clonazione da esso messo a punto e comprendente tutti gli
esseri animali derivanti da tale processo, l'Ufficio inglese dei brevetti ha deciso - ecco
la novità straordinaria - di riconoscere come «proprietà intellettuale», con
conseguente protezione giuridica, anche tutti gli embrioni umani clonati con la procedura
in questione, fino allo stadio blastocistico, cioè allo stadio rappresentato da un
insieme di circa 140 cellule.
Come ha scritto il commentatore di un quotidiano degli Stati Uniti, riportato qualche
giorno fa dall'Herald Tribune, «per la prima volta un'autorità governativa ha
dichiarato che nella sua primissima fase di sviluppo uno specifico essere umano creato
attraverso un processo di clonazione dev'essere considerato agli occhi dell'ufficio
brevetti alla stregua di un'invenzione. Le implicazioni sono profondissime e possono
spingersi assai lontano».
Da questo punto di vista è davvero secondario che la Geron Corporation, la
società californiana di biotecnologia che si appresta a sfruttare il brevetto, abbia
dichiarato di non avere alcuna intenzione di clonare un essere umano destinato alla
nascita, bensì di volere usare gli embrioni umani clonati «soltanto» come strumenti di
ricerca. Ciò che lascia comunque sbigottiti è - come ancora si leggeva nel commento
succitato - il fatto che grazie a un tale brevetto «è stato compiuto un primo passo di
tipo commerciale all'interno di un "brave new world" di tecnologia riproduttiva
umana popolato di veri e propri designer di bambini, nel quale la vita umana durante il
periodo della gestazione è destinata a divenire oggetto di proprietà e di sfruttamento
commerciali secondo modi che sfidano le stesse nozioni basilari di ciò che per noi
significa un essere umano».
A tale prospettiva - per la quale già non appare affatto azzardato parlare di
reintroduzione legale, sotto mentite spoglie, dell'istituto della schiavitù - si
ricongiungono, e si aggiungono, voci sempre più insistenti circa esperimenti di
clonazione di un essere umano completo che, a dispetto di ogni assicurazione contraria, da
tempo proseguirebbero nel chiuso dei laboratori lontano da sguardi indiscreti.
Sono fin troppo evidenti gli sconvolgenti problemi per il futuro della specie umana che
questi campi di ricerca aprono. Tutti rimandano, o meglio evocano, però, una sorta di
problema originario, di angosciosa questione preliminare. La quale può essere posta in
questo modo: è moralmente giustificabile - e in base a quali motivi - che gli sviluppi di
quello che con ogni evidenza si sta rivelando il maggior fattore di trasformazione del
nostro mondo materiale e culturale, cioè la scienza, siano totalmente sottratti a ogni
scrutinio e/o valutazione da parte di chiunque sia estraneo ai suoi statuti e magari anche
non personalmente interessato agli studi e alle ricerche connessi alla scienza medesima?
In altre parole, perché mai consideriamo giusto che in una democrazia la sfera della
politica, sia pure nelle forme e nei limiti appropriati, controlli il potere della
ricchezza, dell'organizzazione produttiva, il potere della comunicazione o quello della
forza (riservandosene strettissimamente il monopolio), ma non debba in alcun modo fare
qualcosa di analogo nei confronti della ricerca scientifica? Forse che, ripeto, ognuno dei
suddetti poteri ha effetti sociali superiori a quelli che già finora ha dimostrato di
avere la scienza, ed ancora più promette verosimilmente di avere in futuro?
Si badi: non sto dicendo che gli effetti della scienza siano necessariamente o
prevalentemente negativi: ma basta che essi esistano, siano (come sicuramente sono) di
immensa e crescente portata, basta questo, mi sembra, perché, secondo la nostra comune
idea di democrazia, ci si possa chiedere se non sia giustificata una decisione della
collettività volta ad arginare e in qualche modo indirizzare la ricerca.
Sono tutte queste domande insensate o illegittime? Non ho alcuna risposta sicura:
senz'altro sono domande imbarazzanti per chiunque sia cresciuto - come ovviamente anche
chi scrive - nell'idea della libertà di pensiero (e dunque anche della scienza) come
fulcro di ogni altra libertà e come paradigma vincolante del nostro essere uomini e donne
moderni. Ma mi chiedo - ed è ancora una domanda a cui è difficile rispondere - se
un'idea di libertà e di insindacabilità della ricerca scientifica elaborata 400 anni fa,
all'epoca di Galilei, quando la ricerca riguardava stelle e orbite planetarie (sia pure
con ovvi e importantissimi risvolti ideologico-religiosi), se una tale idea possa essere
invocata per coprire il campo di conseguenze, di significati, di mutamenti, che oggi, alla
fine del XX Secolo, ricade nella effettiva disponibilità della scienza e delle sue
applicazioni.
Possono gli indubbi e rilevantissimi vantaggi che dall'una e dalle altre ha ottenuto il
genere umano guadagnare agli scienziati, per il futuro, una sorta di licenza di manipolare
tutto ciò in cui consiste la trama delle nostre relazioni personali, sociali, affettive,
la licenza di cancellare di fatto parti decisive del retaggio della nostra civiltà, di
produrre fratture abissali nell'identità storica della specie umana?
Capisco che di fronte alla drammatica difficoltà di dare una risposta che contemperi
le molte e contrastanti esigenze da mettere d'accordo la nostra società preferisca non
vedere il problema, ed in sostanza far finta di niente. Evitiamo di credere che nel
frattempo, però, la ricerca proceda realmente libera, come la nostra retorica modernista
vorrebbe; non illudiamoci che gli scienziati celebrino sempre i riti della purezza
conoscitiva. Mentre si continua a proclamare e - quel che più conta - a pretendere
l'autonomia della scienza da ogni condizionamento esterno di ordine politico, ideologico,
morale, mentre si continua magari anche a credere che tale autonomia esista davvero, nei
fatti le potenti forze del profitto, quelle sì, sono all'opera per condizionare,
indirizzare, selezionare, comprare. Come proprio le ricerche sulle biotecnologie e
sull'ingegneria genetica alla stregua di poche altre stanno a dimostrare. Ed allora ci si
può chiedere: perché ciò che in nome della libertà della scienza non è permesso ad
un'assemblea elettiva è permesso invece ad un'assemblea di azionisti? Domande, come si
vede, ancora domande, alla ricerca di una forse introvabile risposta. |