Psychotherapy and Psychosomatics, vol. 70, n. 1, 
gennaio-febbraio 2001 (Karger)

Giovanni A. Fava

"Conflitto di interesse e gruppi di interesse speciale. 
Il farsi di una contro-cultura"

(Editoriale)
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	L'interesse sul problema del conflitto d'interessi cresce nelle
pubblicazioni mediche. L'espressione è molto usata, ma può avere
significati diversi. [1] Qui ci occupiamo di quando un individuo
occupa due ruoli, uno dei quali lo pone in posizione di abusare
dell'altro. Ad esempio, quando un ricercatore ha un interesse
finanziario nel campo dove svolge la ricerca.
	Per comprendere il problema, sarà utile una prospettiva storica
sui tre stadi del dibattito.


La negazione del problema
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	Le maggiori pubblicazioni mediche sono responsabili per aver
ignorato il pericolo creato dal conflitto d'interessi.  Solo nel 1992
nella rivista Annals of Internal Medicine ci fu un'indagine
sull'effetto della pubblicità delle case farmaceutiche. Fu evidente
che la pubblicità di un farmaco, che appariva su di un'intera pagina
delle 10 più importanti riviste mediche, conteneva affermazioni che
inducevano i medici a prescriverlo impropriamente, o perchè il
farmaco non era stato sufficientemente provato, o perchè esistevano
alternative più efficaci, meno costose e meno pericolose per il
malato.  
	Le implicazioni dello studio fatto da Wilkes et al. [3] furono
ignorate.  La negazione del problema continuò anche dopo il secondo
importante studio sul conflitto d'interesse, sempre nel 1992, e
apparso su questa rivista. In esso, Krimsky e altri [4], analizzando
789 articoli di scienziati di università del Massachusetts pubblicati
in riviste scientifiche prestigiose nel 1992, trovarono una massiva
presenza di interessi corporativi nelle pubblicazioni scientifiche.
Ma i direttori delle riviste scientifiche continuarono a minimizzare
il problema (vedi Nature).[4]


Una parziale consapevolezza
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	Negli anni '90, furono i mass media a dare l'allarme sui pericoli
del conflitto d'interessi in medicina. Come lo scandalo collegato a
un farmaco per l'ipertensione (TPA) [5] che  cominciò a danneggiare
la credibilità dei dati scientifici. A questo seguirono innumerevoli
episodi simili; uno dei più pubblicizzati fu la raffica di rapporti e
d'investigazioni governative in seguito alla morte di un volontario
nell'esperimento sulla terapia genetica [6]. Fatti come quelli che
portarono alle dimissioni dell'editore del New England Journal of
Medicine contribuirono a dare l'allarme alla comunità scientifica.  
	Nel frattempo, i risultati di altre investigazioni cominciarono
ad essere pubblicati. Ad esempio Glassman e altri [7] dimostrarono
che certe prestigiose organizzazioni mediche (ritenute "non-profit")
come quelle che pubblicano il Journal of the American Medical
Association e il New England Journal of Medicine, sono in pratica
finanziate dall'industria farmaceutica. Il titolo dell'editoriale che
appare sulla stessa rivista si commenta da sè: "Non mordere la mano
che ti dà da mangiare", dove Lexchin esprime preoccupazione sui
rapporti tra l'OMS (l'Organizzazione Mondiale della Sanità) e
l'industria farmaceutica. [8]
	L'OMS ha recentemente promulgato direttive per diagnosi e
trattamento dell'ipertensione essenziale, con l'International Society
of Hypertension; direttive aspramente criticate in una lettera
firmata da quasi 900 tra medici e scienziati, per essere basate su
esperimenti finanziati dall'industria  farmaceutica.
	Come è stato dimostrato per la diagnosi della depressione [9] e
l'uso degli antidepressivi [10], il trucco è chiaro: convincere il
maggior numero di individui ad usare un certo medicinale, sia
forzando il numero delle condizioni per le quali se ne pubblicizzano
gli effetti benefici, sia incoraggiandone l'uso preventivo.
	Il sottotitolo di un altro studio [11] parla da sè: "Is a gift
ever just a gift?". Lo studio documenta il rapido aumento di ricette
per un farmaco prodotto dalla casa farmaceutica che sponsorizza (e
paga i viaggi dei medici partecipanti) un evento educativo.
	(...) L'irrazionale comportamento di medici, che prescrivono
medicinali prodotti dalle case farmaceutiche che fanno loro regali,
"è l'opposto di quello che i pazienti e la società si aspettano da
noi", commenta Wilkes [12]. E quando non c'è più fiducia, il medico
perde il suo potere di curare.


La nascita di gruppi d'interesse speciale
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	Finora, il problema del conflitto d'interessi è stato
concettualizzato in termini un po' ingenui. Lo scenario rappresenta
l'industria corporativa (i cattivi) che fa sempre più pressione sui
medici  (vittime innocenti), con le riviste mediche (i buoni) che
cercano di proteggere sia i medici che i pazienti. I patetici
risultati degli sforzi di limitare il fenomeno riflettono
l'inadequatezza di questo scenario. Il problema è capire se gli
episodi citati sono inevitabili, oppure sono solo la punta
dell'iceberg, che è il complesso degli interessi del mercato. Si
formano gruppi d'interesse speciale, cioè oligarchie accademiche
auto-selezionate, che influenzano l'informazione clinica e
scientifica [13]. Questo avviene in vari modi. Un modo tipico
consiste nel pubblicare un supplemento speciale di una rivista per
pubblicizzare un nuovo farmaco; il fatto che che tali articoli sono
raramente "peer-reviewed", sono scientificamente più scadenti di
quelli pubblicati regolarmente [14], e che gli autori spesso vengono
pagati, non è trasparente e può trarre in inganno i lettori. Pare che
sia possibile anche "comprare" un editoriale [15], e pubblicità
fuorviante sembra sia la regola [2]. Ma questo è solo la punta
dell'iceberg più ovvia. Membri dei gruppi d'interesse controllati
dall'industria, spesso occupano posizioni di leadership nelle
redazioni delle riviste mediche e nei consigli d'amministrazione
d'istituti di ricerca non-per-lucro. In qualità di consulenti e
recensori, hanno il compito di sistematicamente sopprimere le
informazioni che possano danneggiare i loro interessi speciali. E'
risaputo che importanti ricerche non vengono mai pubblicate [16], il
che danneggia la cosidetta medicina fondata sull'evidenza; meno note
sono le difficoltà a venir pubblicati, dei ricercatori che vanno
contro corrente. I convegni, i simposi, e specialmente le riunioni
delle società professionali, sono il mezzo più potente di esercitare
lo strapotere da parte di queste oligarchie accademiche controllate
dalle corporazioni. In un altro scritto [17] ho parlato dei "prodigal
experts" che caratterizzano questa pratica. La sorte di una delle più
importanti ricerche sulla psicoterapia dei disturbi da panico [18,
19] è indicativa del grado di ostracismo vendicativo che tocca a chi
non si adegua alle direttive del potere [13]. Il pericolo è ovvio
[4]. La comunità scientifica si priva di una riserva di esperti
disinteressati, che potrebbero essere consultati dagli organi
legislativi del governo sulla sicurezza ed efficacia di trattamenti,
sui rischi delle sostanze chimiche e sulla non-nocività di
tecnologie. Costoro trovano sempre maggiori difficoltà a trovare
finanziamenti per la ricerca e ottenere visibilità ai convegni e
sulle pubblicazioni. Il recente scandalo riguardante la corruzione
della FDA (l'agenzia governativa degli Stati Uniti preposta al
controllo sui farmaci) [20], è un chiaro esempio di questo pericolo.
Non è che gli esperti disinteressati siano una specie estinta, come
le agenzie vorrebbero farci credere. Il fatto è che essi vengono
emarginati da chi controlla gli interessi delle multinazionali dentro
le istituzioni pubbliche. Cos'è peggio: che un ricercatore di un
gruppo d'interesse speciale spedisca operatori in un'isola nel mar
dei Caraibi per promuovere un certo prodotto, o che costui o colei
contribuisca a formulare standard selettivi per le riviste di
medicina e per le agenzie che finanziano la ricerca?


Il farsi di una contro-cultura
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	Il minimo che si possa fare perchè la scienza mantenga
credibilità è l'adozione di "disclosure policies" che rendano
pubblici possibili conflitti d'interesse dei ricercatori. Principi
che cominciano ad essere sottoscritti da diverse pubblicazioni
mediche,  inclusa Psychotherapy and Psychisomatics, e nei convegni
delle associazioni professionali nel Nord America. Lo stesso non si
può ancora dire per l'Europa. Quanto si dovrà aspettare prima che l'
European College of Neuropsychipharmacology o la Association of
European Psychiatrists adottino "disclosure rules"?
	E' curioso come tale requisito minimo non venga adottato fino in
fondo. L'importanza di conflitto d'interessi finanziari e no nei
recensori di articoli è stata ribadita [21, 22]. In questa rivista
tutti i recensori, sia che siano membri del comitato di redazione o
no, devono rivelare ogni potenziale conflitto d'interessi nei loro
commenti. Ed ora lo richiediamo anche per i direttori (vedi
Appendice). Ma quanti altri lo richiedono?  
	(...) Ma non basta. Certamente, la contro-cultura per sfidare i
valori convenzionali della società tecnocratica di cui Roszak parlava
nel '68 [23], è ormai obsoleta. Ma nuove forze alternative emergono,
specialmente contro le multinazionali, il loro impatto sull'ecologia
e l'equilibrio tra paesi sviluppati e in via di sviluppo (il
movimento di Seattle) [24].
	Un efficace controllo del problema - oltre a "disclosure
policies" - può nascere dai seguenti sviluppi:
	1. All'interno di ciascun campo specifico, è facile riconoscere
gruppi di speciale interesse. Detengono il potere e controllano il
campo. Che fare?  
Come  i consumatori alternativi, a livello individuale uno può
rifiutarsi di partecipare ai convegni  [25]. E i membri delle
associazioni professionali che vi partecipano dovrebbero essere in
grado di valutare l'influenza dell'industria farmaceutica usando
appositi questionari e manifestando il proprio dissenso (la posta
elettronica è utilissima). 
	2. E' importante che chi vuole usare la propria testa, medici e
ricercatori, non sia solo. Il sito www.nofreelunch
<http://www.nofreelunch.org> è un esempio di questo tipo di
resistenza. Pubblicazioni come Psychotherapy and Psychosomatics, il
Western Journal of Medicine e l'International Journal of Risk and
Safety in Medicine sono leaders nella libertà di pensiero in questo
campo, che si tratti dell'abuso di medicinali antidepressivi [17],
agenti contro l'ipertensione [8], o terapie ormonali in menopausa
[26]. E' importante che non siano solo in pochi a condividere idee
critiche, come partecipare a convegni non sponsorizzati.
	3. La formulazione di specifiche regole per l'integrità nella
scienza da parte delle università e di agenzie finanziatrici. 
	4. Altro passo importante è la creazione, in ciascun campo, di
comitati di revisori indipendenti per esaminare la questione del
conflitto d'interessi. Potrebbero fornire "peer support" sia agli
autori che ai direttori di pubblicazioni, ben oltre il generico, se
non ridicolo, incoraggiamento a registrare le ricerche non pubblicate
[27]. 
	5. Che il grande pubblico sia interessato ai problemi di
conflitto  d'interessi è ampiamente dimostrato dal successo
commerciale di libri come "Prozac Backlash" [28], il dovuto antidoto a
"Listening to Prozac" [29]; e anche chi critica tali libri [30]
dovrebbe rivelare i propri conflitti d'interesse. Le associazioni dei
consumatori devono ancora rendersi conto dell'importanza della stampa
in questa faccenda. Fa eccezione un gruppo di consumatori inglesi,
che ha portato avanti una coraggiosa battaglia sui rischi per i
consumatori di antidepressivi [31, 32].
	6. Il farsi di questa contro cultura, in cui la società civile
dovrà giocare un ruolo sempre maggiore, ha a che vedere col  rapporto
tra salute e malattia. Nell'eccellente libro "Biology as Ideology"
[38], Lewontin mostra come la pratica della medicina, fuorviata dalla
propaganda di determinati farmaci, è dominata da una ideologia che
ignora la complessità della scienza. Si arriva a "trattare" i bambini
vivaci, con farmaci di cui si ignorano gli effetti che possono avere
sul bambino diventato adulto [40, 41].
	Dato il clima di una medicina praticamente controllata dalle
multinazionali, non sarà facile lottare per l'integrità scientifica
nella ricerca. I direttori delle riviste scientifiche hanno un
compito difficile, e come tutti coloro che desiderano contribuire al
farsi di questa contro cultura, devono essere preparati alla
rappresaglia. 
	D'altra parte, se non si vuole che i ricercatori clinici
diventino dei commessi viaggiatori (e purtroppo lo scopo di molti
convegni professionali è apparentemente quello di "vendere" i
partecipanti agli sponsors), occorre agire per proteggere la salute
della società. Così facendo si difende anche la loro libertà
intellettuale.
(Traduzione di Maria Grazia Marzot)


Le note sono presenti in calce alla versione originale dell'articolo 
(in Inglese), che potete richiedere allo Staff busta.gif (111 byte) della 
Fondazione Bassetti (è in formato PDF: per leggerlo è necessario 
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