Il Sole 24 Ore, Supplemento del lunedì, Sanità, 25 settembre - 1 ottobre 2001

E' in gioco la credibilità della Medicina

Troppe lobby agiscono nell'ombra

di Giovanni Fava *

-------------------------------------------------------

Sono in crisi i filtri di qualità che garantiscono l'affidabilità della ricerca scientifica in ambito medico. In questo mese un editoriale pubblicato contemporaneamente sulle più importanti riviste di medicina generale (come «Lancet» e «The New England Journal of Medicine») annuncia delle misure restrittive nei confronti dello strapotere delle industrie farmaceutiche nella disseminazione dei lavori scientifici, con particolare attenzione ai risultati di studi multicentrici per testare l'efficacia dei farmaci.

I direttori di queste riviste riconoscono che la crescente importanza delle industrie private nel finanziamento delle ricerche biomediche sta minando l'indipendenza dei ricercatori.

Il problema emerge drammaticamente agli inizi degli anni Novanta. Viene effettuato negli Stati Uniti un grosso studio multicentrico che confronta due farmaci contro l'ipertensione arteriosa. Uno è un medicinale recente e relativamente costoso (un calcio antagonista). L'altro è un diuretico (un farmaco a basso costo già in uso da molto tempo).

Ci si aspetta di dimostrare che il nuovo farmaco è meglio di quello vecchio. Quello che viene fuori è invece sorprendente. Non solo sono sostanzialmente equivalenti rispetto alla pressione. Il calcio antagonista causa più effetti collaterali. Scatta da parte della casa farmaceutica un pressing senza pari per smussare le conclusioni dello studio. Esce in una prestigiosa rivista («Jama») un articolo in cui compaiono solo gli autori che avevano accettato la versione della casa farmaceutica, mentre non firmano lo studio gli altri.

La cosa diventa pubblica per opera di un giornalista ed è uno scandalo. Di questi scandali si riempiono presto le più importanti riviste mediche.

L'antidoto? Dichiarare il conflitto di interessi. Viene richiesto agli autori che inviano un lavoro scientifico di rendere espliciti i loro eventuali conflitti di interessi.

Questo però non da tutte le riviste (a esempio, su «Nature» solo da quest'anno). Uno studio pubblicato su «Psychotherapy and Psychosomatics» (rivista della Karger di Basilea) da un ricercatore di Boston, Sheldon Krimsky, nel maggio di quest'anno rivela che un conflitto di interessi viene dichiarato in meno dell'1% dei casi (lo studio può essere rintracciato nel percorso sul conflitto di interesse del sito www.fondazionebassetti.org).

Lo stesso gruppo di ricercatori aveva precedentemente effettuato uno studio in cui era stata verificata la presenza di conflitti di interessi sostanziali (possedere azioni dell'industria di cui si sta testando il prodotto, oppure brevetti, oppure essere consulenti dell'azienda) negli autori di Boston. E scopre che questo conflitto di interessi è presente in un caso su tre. I conti non tornano.

I direttori delle riviste mediche annunciano nell'ultimo editoriale misure più restrittive: obbligheranno gli autori ad assumersi piena responsabilità dei risultati degli studi (inclusa la loro elaborazione statistica). Con questo ammettono implicitamente di avere pubblicato studi manipolati, usati pesantemente dall'industria per la sua propaganda.

Non forniscono però alcun aiuto concreto agli autori che si trovino in difficoltà per preservare la loro integrità.

E danno anche il cattivo esempio, non dichiarando nell'editoriale i loro conflitti di interessi (che per coloro che dirigono una rivista sono ben più gravi di quelli degli autori).

I criteri per l'accettazione di un lavoro scientifico da parte delle riviste mediche che usciranno nel 2002 (preannunciati da questo editoriale) sono un passo avanti positivo. Ma del tutto insufficiente ad affrontare il problema del conflitto di interesse.

In un editoriale apparso sul primo numero di «Psychotherapy and Psychosomatics» di quest'anno (anche questo consultabile nel sito della Fondazione Bassetti) ho disegnato uno scenario diverso: la presenza di gruppi con particolari interessi scientifico-economici, che monopolizzano riviste e congressi, deformando e pilotando la comunicazione scientifica.

Cosa succede se un direttore di una rivista ha grossi interessi economici (personali o della rivista, sotto forma di, pubblicità)? Pubblicherà articoli che vanno contro questi interessi? Occorre allora riconoscere che il problema del conflitto di interessi si situa in quello più generale della responsabilità dello scienziato e di chi fruisce della scienza.

Richiede interventi a svariati livelli (connessioni tra ricercatori che si battono per l'integrità della scienza, coinvolgimento della società civile e particolarmente delle associazioni dei pazienti e consumatori, collegamenti con i movimenti post Seattle, responsabilizzazione della stampa di divulgazione scientifica ecc.). E non solo la richiesta «Niente da dichiarare?». Perché quello che ormai è in gioco è la credibilità stessa della medicina clinica. Se viene persa, viene meno anche il potere del medico di guarire.

* Professore ordinario di Psicologia clinica all'Università di Bologna e Professore ordinario di Psichiatria alla State University of New York of Buffalo. Direttore di «Psychotherapy and Psychosomatics»