IL MESSAGGERO, 4 settembre 2001

MICHAEL DERTOUZOS 
 
Ma il futuro ci sfuggirà sempre

Possiamo controllare gli sviluppi della scienza? Michael Dertouzos,
padre del Web, appena scomparso, dice di no. E lo spiega nel suo
ultimo scritto 

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In un famoso articolo sulla rivista Wired, Bill Joy (rinomato guru
dell’informatica, n.d.r.) sostiene che le conseguenze della ricerca
in robotica, ingegneria genetica e nanotecnologia potrebbero condurre
a "una distruzione di massa incoraggiata dalla conoscenza...
enormemente amplificata dal potere dell’autoriproduzione". Il rimedio
che propone: "l’abbandono... limitando lo sviluppo di alcuni tipi di
conoscenze". Non mi convince. Ciò che mi dà fastidio della sua tesi è
l’arrogante idea che la logica umana possa anticipare gli effetti di
azioni intenzionali e non preordinate, e l’ancora più arrogante idea
che il ragionamento umano possa determinare il corso dell’universo.
Cercherò di spiegare il perché e di offrire alcune alternative. 
Di rado riusciamo a stabilire la direzione in cui ci muoviamo. Nel
1963, quando costruimmo i computer a partizione di tempo, lo facemmo
per distribuire il costo di un processore da 2 milioni di dollari tra
tutti gli utenti. Nel 1970, quando il Darpa sviluppò Arpanet (una
rete con circa 60 mila calcolatori), lo fece per evitare di comprare
costosi computer per i suoi fornitori, a cui venne detto di
condividere le macchine in rete. Entrambe le iniziative ebbero
successo, non per questi obiettivi, ma perché hanno consentito alle
persone di condividere l’informazione. Internet venne lanciata per
interconnettere reti di computer; nessuno aveva previsto che la sua
maggiore applicazione sarebbe stato il Web. Il radar fu progettato a
scopi militari, ma diventò la pietra miliare del trasporto aereo. La
ricerca sulle armi nucleari rese importante la medicina nucleare.
Migliaia di innovazioni hanno in comune lo stesso schema: le
valutazioni iniziali non sono correlate al prodotto finale. 
La nostra capacità di prevedere le conseguenze è così limitata da non
essere neanche aiutata dal senno del poi. Dunque, le macchine sono
state un bene o un male per la società? E l’energia nucleare, o la
medicina nucleare? Siamo incapaci di giudicare se qualcosa che
abbiamo inventato oltre cinquant’anni fa è oggi un bene o un male.
Tuttavia Joy vuole che noi formuliamo questi giudizi in prospettiva,
per determinare quali tecnologie dobbiamo abbandonare! Sviluppi
futuri che oggi sembrano spaventosi potrebbero rivelarsi un miraggio.
Si prendano ad esempio le macchine spirituali di Ray Kurzweil che
preoccupano Bill Joy. Ho una grande stima di Ray e accolgo con favore
le sue idee, come quelle di Bill, per quanto discutibili mi possano
apparire. Ma bisogna tracciare una chiara linea tra ciò che è solo
immaginato e ciò che è probabile. A rendere confusa questa linea è la
ciarlataneria. Il semplice fatto che i chip e le macchine stanno
diventando più veloci non significa che saranno più intelligenti o
che addirittura si autoriprodurranno. Se si muovono le braccia più
rapidamente, non si diventa più brillanti. 
Al di là del gran parlare che si fa intorno agli agenti intelligenti,
i sistemi computerizzati attuali non sono intelligenti nell’accezione
normale della parola. Né sembra di vedere nell’orizzonte della
ricerca le tecnologie critiche che dovrebbero condurli a questo
punto. Dobbiamo bloccare lo sviluppo dell’informatica e la ricerca
sull’Intelligenza Artificiale per il timore che un giorno le macchine
intelligenti possano riprodursi e sorpassarci? La mia risposta è no.
Credo che avrebbe più senso aspettare e vedere se i rischi potenziali
sono supportati da qualcosa di diverso della nostra immaginazione. 
Dato che non possiamo capire dove stiamo andando, dovremmo fermare
del tutto la ricerca? Ciò mi fa venire in mente un anziano e saggio
impiegato delle linee aeree con cui mi vantavo di aver smesso di
volare con la sua compagnia aerea per la scarsa documentazione che
fornivano sulla sicurezza. "Ascolti, signore" mi disse. "Se sul
vostro visto d’uscita da questa vita è stampato "incidente aereo",
anche se state nel vostro letto, l’aeroplano vi scoverà e vi cadrà
sopra". In tal senso, all’alba del secolo tecnologico, non è alla
moda prestare attenzione a forze esterne alla ragione. E’ il momento
di riconsiderare tutto ciò, soprattutto se ci si illude di capire
abbastanza dell’universo per controllare con successo il suo corso
futuro, come propugna Joy. 
Non dovremmo dimenticare che quanto facciamo come esseri umani è
parte della natura. Non sto sostenendo di fare quello che vogliamo,
proprio in quanto naturale, ma di tenere la natura — incluse le
nostre azioni — in soggezione. Nell’elaborare complesse strategie per
"regolare il problema dell’ozono", o qualunque altro grave problema
del nostro mondo, dobbiamo essere rispettosi dei modi imprevedibili
in cui la natura potrebbe reagire. E dovremmo avvicinarci con uguale
rispetto all’idea che la naturale spinta umana a indagare il nostro
universo possa subire una limitazione. La mia proposta è di allargare
la nostra prospettiva alla pienezza della nostra umanità, che oltre
alla ragione include i sentimenti e le credenze. 
Talvolta, quando siamo alla guida della macchina del progresso
scientifico e tecnologico, cambiamo direzione perché la nostra
ragione dice così. Altre volte seguiamo i nostri sentimenti o ci
lasciamo guidare dalla fede. La maggior parte delle volte ci
affidiamo contemporaneamente a tutte e tre queste forze umane, che
hanno già guidato le azioni umane per migliaia di anni. In questa
prospettiva dobbiamo essere attenti, pronti a fermarci, se il
pericolo è imminente, usando tutta la nostra umanità per prendere una
simile decisione. In tal modo il nostro punto di riferimento sarà
molto differente da quello attuale, basato su valutazioni iniziali di
ordine razionale che ci hanno spesso portato al fallimento. Dobbiamo
credere in noi stessi, nelle altre persone e nel nostro universo. E
ricordarci che non tutto dipende da noi.