Il Manifesto, 13 febbraio 2001

Facoltà di protesta
REDI "La ricerca deve essere libera, il suo uso di dominio pubblico" 
YURIJ CASTELFRANCHI 

Un fatto straordinario, vedere l'accademia in piazza? "Solo per noi
in Italia", commenta Carlo Alberto Redi, docente di Biologia dello
Sviluppo all'Università di Pavia e fra i firmatari dell'appello sulla
cui base molti scienziati italiani manifestano oggi a Roma. "A
livello internazionale non è così inusuale che gli scienziati si
muovano. Basta ricordare il caso del referendum svizzero sulle
biotecnologie: di fronte alla minaccia di veder bloccata tutta la
ricerca biotecnologica, in campo agroalimentare come in quello
medico, i ricercatori sono scesi in piazza. E, partendo da una
situazione che vedeva al 70% il fronte del no totale al biotech, sono
riusciti a capovolgere l'esito del referendum".

Parlate di "svolta repressiva", che "mette a repentaglio la
sopravvivenza della ricerca" italiana...

Io non sono un esperto di cose legislative, ma mi sembra che ci siano
aspetti di anticostituzionalità nell'azione di Pecoraro Scanio. Per
esempio, tende a bloccare anche finanziamenti già assegnati. E questo
è gravissimo al di là della singola ricerca che viene fermata, perché
significa isolare la comunità scientifica italiana: nessun partner
europeo chiederà più ai ricercatori italiani di partecipare a un
progetto di ricerca sovranazionale, e non perché abbiano dubbi sulla
nostra validità scientifica, ma a causa del fatto che non possiamo
fornire garanzie di continuità e di reperimento dei fondi.

Però è evidente che tutti, cittadini e politici, sentono la necessità
di avere un controllo su un settore della ricerca cruciale per il
futuro del pianeta.

Certo. Ma su una cosa non possono esserci dubbi: la ricerca deve
essere libera. Ed è un discorso che non riguarda certo solo gli Ogm.
Diverso è il discorso del controllo sociale sulle applicazioni
possibili dei risultati della ricerca. Una volta era proprio questo
il discorso che differenziava la sinistra: difendere la conoscenza e
la libertà del conoscere da un lato, ma mantenere e garantire un
esercizio democratico, un controllo sociale sulle applicazioni. Come
si può esercitare tutto ciò? Solo grazie all'informazione. Sono
convinto che se ci fosse una alfabetizzazione scientifica vera, molti
problemi si risolverebbero facilmente. Quello che spaventa è la
condizione monopolistica sulle applicazioni. Questa sì, è pericolosa.
Ma non possiamo confondere il livello del controllo sociale su una
tecnologia con la negazione dei progressi garantiti dalla ricerca. E'
triste vedere parte della destra o le imprese farsi paladini di una
tradizione di libertà di ricerca che era stata di sinistra.

Eppure, sono proprio imprese multinazionali a dare visibilità alla
biotecnologia. La gente non mostra poi tanta ignoranza, quando
"confonde" le applicazioni della biotecnologia moderna con prodotti
brevettati e in mano ai privati...

La biotecnologia può portare benefici immensi. Nessuno oggi può
pensare di fare progressi sostanziali nel settore della salute, delle
nuove terapie e della diagnosi senza tener conto dell'ingegneria
genetica. E' assurdo, tanto più in una sinistra laica, costruire un
tabù che ci dice che non possiamo toccare il genoma. Quanti poveretti
condanniamo se impediamo a priori ogni intervento sul genoma umano?
Bisogna intervenire sul Dna, ciò che va gestito e controllato è il
come. Se non lo facciamo, se non decidiamo in maniera collettiva e se
non sottoponiamo le applicazioni a un controllo sociale democratico,
l'ingegneria genetica verrà usata comunque, e solo dalle élite che
hanno l'accesso economico alla tecnologia. Questo si può evitare solo
conoscendo, grazie alla ricerca, che cosa si può fare, e decidendo
collettivamente quello che si vuole fare. Dobbiamo difendere la
ricerca proprio per permettere a tutti di accedere alle grandi
opportunità fornite dai progressi della conoscenza, e per non
lasciare tali opportunità in mano ai grandi monopoli o a pochi
ricchi.

Se la gente confonde la scienza con la tecnologia, e quest'ultima con
il potere di pochi, è anche perché la ricerca produce tecnoscienza, e
questa è spesso controllata da compagnie private.

E' vero. La comunità scientifica deve fare ammenda su questo. Però
non dimentichiamoci che l'università è morta in seguito al
thatcherismo, che fece passare in Europa l'idea che l'università deve
coniugarsi con l'impresa, nella speranza fasulla che così si
producono giovani più competitivi sul mercato del lavoro. Quando
l'università deve agganciarsi all'impresa come fonte di finanziamento
è evidente che lo scienziato deve fare la ricerca di base con la mano
sinistra, mentre gli si impone, a causa del committente, un obiettivo
applicativo e tecnologico. Il ricercatore è costretto a una forma di
prostituzione scientifica, a causa di scelte politiche più alte che
hanno eliminato finanziamenti per la ricerca di base.

Il risultato è che i ricercatori appaiono agli occhi di molti come
complici diretti della politica delle multinazionali, e che i
possibili benefici della biotecnologia abbiamo il sapore della
propaganda più che della notizia scientifica.

Per avere fondi il ricercatore si sente spinto a sottolineare gli
aspetti applicativi della sua ricerca. Anche di fronte a un
giornalista: ti chiedono sempre: "ma la ricaduta qual è?", e tu sei
forzato a sottolineare gli aspetti positivi possibili. Se un
ricercatore vuole fare riso con vitamina B12, poi questa viene
propagandata con forze come soluzione di problemi nel Terzo Mondo. So
anche io che non è affatto detto che i benefici si realizzino, perché
i contadini poveri non avranno accesso a quella risorsa. So anche io
che è propaganda, ma come si può evitare questa confusione? Solo
facendo in modo che la gente conosca bene quello che facciamo. A quel
punto il controllo democratico potrebbe andare nella direzione di
imporre che le applicazioni importanti e benefiche delle
biotecnologie siano distribuite gratuitamente a chi ne ha bisogno,
anziché restare sotto il dominio delle multinazionali. Oggi sui
giornali italiani ci saranno colonne entusiaste sul sequenziamento
del genoma umano: diranno che è un momento storico, e non diranno che
la biotecnologia è in mano a poche compagnie. Dobbiamo conoscere,
fare ricerca proprio per sapere cosa di positivo potremo fare e cosa
invece collettivamente dobbiamo pretendere che non venga fatto.