La Repubblica, 4 Giugno 2000, p. 15
Biotech, non aspettiamo i danni
di Gianni Tamino (*)

La mobilitazione della settimana scorsa a Genova contro una mostra
mercato delle biotecnologie, ha avuto indubbiamente il merito, dopo
Seattle, di far parlare organi di stampa e opinione pubblica sui "pro e
contro" degli organismi geneticamente modificati, che volenti o nolenti
già troviamo nel piatto.
Ma alla mobilitazione è importante che segua una pacata riflessione
sulle ragioni dell'opposizione a certe applicazioni delle cosiddette
biotecnologie. In realtà l' uomo utilizza le biotecnologie da migliaia
di anni, in quanto "tecniche che utilizzano organismi viventi, cellule
e loro costituenti", come dire che la produzione di vino, birra, pane,
yogurt ecc., sono tutte biotecnologie. Ma chiaramente la Mostra Tebio
di Genova voleva promuovere le cosiddette biotecnologie innovative,
cioè le applicazioni dell'ingegneria genetica, grazie alla quale è
possibile inserire geni provenienti da una specie in un'altra
completamente diversa: geni umani in batteri, geni di batteri o di
animali nelle piante, ecc., producendo piante e animali "transgenici",
cioè "organismi geneticamente modificati" o semplicemente OGM.
Di fronte a queste tecnologie non si tratta di avere una posizione
preconcetta o ideologica, ma di valutarne rischi e benefici. È
difficile, ad esempio, essere contrari alla produzione con queste
tecniche di farmaci o alle terapie geniche, anche se i rischi non sono
trascurabili e i risultati ancora insoddisfacenti.
L'accettabilità di queste tecniche dipende non solo dalla possibilità
di guarire malati, ma anche dal fatto che si opera in un ambiente
controllato, evitando di contaminare l'ambiente esterno, nel rispetto
di criteri di prevenzione e di precauzione.
Non altrettanto si può dire per la manipolazione di piante ed animali
che, non potendo essere tenuti in ambienti isolati, vengono
sperimentati e utilizzati in campo aperto, con rischio evidente di
trasferimento di nuovi geni in altri organismi, senza controllo e con
pericolo di effetti indesiderati.
In gran parte d'Europa ed in Italia le coltivazioni di piante
transgeniche sono ancora sperimentali, senza autorizzazione alla
commercializzazione, ma è autorizzata l'importazione soprattutto dagli
Usa di alcune piante transgeniche, in particolare soia e mais, i cui
derivati sono presenti in molti dei prodotti che acquistiamo nei
supermercati e nei mangimi usati negli allevamenti di animali.
L'immissione sul mercato, senza adeguate informazioni e granzie, di OGM
e la richiesta di brevettare tali organismi, hanno creato una crescente
preoccupazione nell'opinione pubblica per le conseguenze ambientali e
sanitarie che potrebbero derivare.
Il primo, e più grave, dei problemi delle biotecnologie risiede nella
complessità dei sistemi biologici, per cui, introducendo nell'ambiente
organismi con caratteri genetici che non esistevano prima, non sapremo
prevedere quali conseguenze potranno verificarsi. Finora l'uomo ha
riprodotto e selezionato piante e animali rispettando le loro
caratteristiche naturali, incrociando gli organismi per via sessuale e
sfruttando i loro caratteri genetici. L'inserimento di geni mediante
ingegneria genetica, supera la naturale barriera tra specie e dà
origine ad individui che non sono stati verificati dalla selezione
naturale. Ma se una pianta modificata si incrocia per caso con piante
coltivate o spontanee dello stesso tipo, può diffondere un carattere
che potrebbe avere gravi conseguenze per la biodiversità, cioè per la
varietà delle specie e degli individui che troviamo in un ecosistema,
che costituisce la vera ricchezza naturale.
Ma anche in tema di salute i cibi derivati da OGM nascondono rischi per
l'uomo: ogni volta che si modifica un prodotto alimentare, questo può
provocare allergie (come è accaduto nel caso della soia, nella quale è
stato inserito un gene proveniente dalla noce del Brasile) o effetti
indesiderati, che magari non vediamo immediatamente, ma che possono
produrre danni a distanza di tempo, come sembra evidenziare sia lo
studio della ricercatrice inglese Mae- Wan Ho sull'instabilità genetica
causata dall'inserimento nelle piante di geni estranei, che quello di
Pusztai sulla tossicità della patata in cui è stato inserito un gene
del bucaneve. Ma sappiamo anche che per identificare i geni introdotti
negli organismi geneticamente modificati e renderli riconoscibili, si
inserisce come marcatore un fattore di resistenza agli antibiotici,
che, però, una volta arrivato nell'apparato digerente attraverso il
cibo, potrebbe trasferire tale resistenza ai batteri che normalmente
convivono con l' uomo e questi a loro volta potrebbero trasferire
questa resistenza ai batteri patogeni; ciò renderebbe nullo l'utilizzo
dell'antibiotico.
Inoltre molte piante transgeniche (circa il 70%) sono modificate per
risultare resistenti ad un erbicida, in particolare il glifosato: in
tal caso la pianta potrà convivere con elevate dosi di pesticida che,
oltre ad inquinare l'ambiente, sarà presente nel cibo che mangeremo.
Recentemente uno studio svedese, pubblicato sulla rivista "Cancer", ha
messo in luce un legame tra il glifosato ed un tipo di linfoma. Infine
un ulteriore problema è dato dal fatto che gran parte della soia e del
mais transgenici importati vanno a finire nei mangimi per
l'alimentazione animale: nulla sappiamo delle conseguenze di tale dieta
sugli animali e tanto meno degli effetti sull'uomo che consuma prodotti
di origine animale (ma è bene ricordare che "mucca pazza" è la
conseguenza imprevista dell'immpiego di farine animali nei mangimi dei
bovini).
Nel caso, dunque, degli OGM impiegati in agricoltura siamo in presenza
di tecnologie non facilmente controllabili e prevedibili negli effetti.
Non è quindi, almeno per il momento, applicabile il principio di
Precauzione, previsto dalla Convenzione sulla Biodiversità, del 1992, e
fatto proprio dal Trattato dell'Unione Europea. Tale principio afferma
che un prodotto o un procedimento tecnologico possono essere
considerati sicuri quando, al di là di ogni ragionevole dubbio, non vi
sono rischi rilevanti ed irreversibili; ciò significa che per gli OGM
non dobbiamo aspettare di verificare gli eventuali danni provocati in
seguito al loro uso, ma dobbiamo preventivamente valutarne i rischi
potenziali e, in assenza di certezze scientifiche, è meglio astenersi
dal produrli e commercializzarli. Ed è questo il senso della protesta
di Genova.

(*) L'autore è biologo dell'Università di Padova e membro del Comitato
nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie