L'Unità, 13 giugno 2001
PIETRO GRECO 
Biotecnologie, la partita è truccata
Un libro accusa gli ambientalisti di gioco "scorretto".Le colpe delle
multinazionali 
 
E' la storia di un dibattito di rara intensità, quella che Anna
Meldolesi ci propone nel nuovo libro, "Organismi geneticamente
modificati" appena uscito per i tipi della Einaudi. Una storia,
documentatissima, scritta in buon italiano e passione graffiante da
una giovane giornalista che attraversa, senza sforzo apparente, le
tre diverse dimensioni (scienza, economia e politica) in cui si è
dipanato lo sviluppo recente delle biotecnologie applicate al settore
agroalimentare per affermare una tesi forte e cercare di dimostrarla.
La natura del dibattito è nota. Da un lato c'è chi nelle moderne
biotecnologie verdi vede la leva per realizzare un nuovo salto di
qualità nel modo che si è inventato l'uomo per produrre il cibo di
cui ha bisogno. Dall'altra c'è chi vede nei prodotti di queste
tecnologie, gli organismi geneticamente modificati (Ogm), un pericolo
per la salute umana, per l'equilibrio degli ecosistemi, per le
economie dell'Europa e del Terzo mondo.
L'intensità raggiunta dal dibattito ha pochi eguali in tempo di pace.
Coinvolge governi, svariate agenzie delle Nazioni Unite, grandi
aziende multinazionali, partiti, movimenti, associazioni, il
variegato "popolo di Seattle", persino importanti autorità religiose.
E, naturalmente, scienziati.
Bene, la tesi, forte, di Anna Meldolesi è che questo dibattito così
intenso e così pervasivo non è un dibattito di idee. Ed è qualcosa di
diverso anche da un duro dibattito ideologico, portato avanti da
parti contrapposte che nell'analizzare i fatti utilizzano filtri
interpretarvi precostituiti. No, quello sugli Ogm non è né un leale
dibattito di idee né un duro dibattito ideologico, è semplicemente un
dibattito truccato. Perché si fonda sulla sistematica distorsione dei
dati di fatto: scientifici, tecnici ed economici.
L'assunto è drastico. Ma occorre dire che nello sviluppare questa sua
tesi nel corso di 202 pagine dense e incessanti, Anna Meldolesi ha
facile gioco. La grande mole di documenti che la giovane e brillante
giornalista mette in campo dimostra chiaramente che quello sulle
moderne biotecnologie in agricoltura è davvero un dibattito truccato.
Ma chi è che lo ha truccato, questo dibattito che sta ridisegnando i
confini tra locale e globale, tra scienza e politica, tra innovazione
e conservazione, tra economia ed ecologia?
La domanda è fondamentale. Perché se riusciamo a individuare il
colpevole, forse riusciremo a diradare le nebbie e a individuare
anche i nuovi confini lungo i quali, oggi, si dipana una parte
decisiva della dinamica culturale e sociale del mondo intero.
Anna Meldolesi lo individua, un colpevole. Lo individua nel movimento
ecologista. O, almeno, in quella parte del movimento ecologista che
ha fondato le sue battaglie politiche contro gli Ogm su una
sistematica distorsione dei fatti (soprattutto delle conoscenze
scientifiche). Truccando la partita, il movimento ecologista che si
oppone agli Ogm è riuscito a far passare non solo a livello di massa,
ma anche a livello di governi (soprattutto in Europa) e addirittura
di Nazioni Unite (Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza) una
visione delle biotecnologie verdi e dei rischi che comporta lontana
da ogni principio di realtà.
L'ingente mole di documenti che Meldolesi mette in campo per
corroborare questo processo indiziario al movimento anti-Ogm è
convincente. Davvero una parte del mondo ambientalista ha deciso di
giocare la partita delle biotecnologie verdi sul campo delle emozioni
e dei fondamentalismi, piuttosto che sul campo di una rigorosa
analisi dei fatti. E' una decisione che rompe, in qualche modo, una
tradizione di fondare sull'analisi scientifica le sue battaglie per
lo sviluppo sostenibile.
Ed è una decisione perdente, perché le biotecnologie verdi sono già
una realtà e conviene tentare di governarle per sfruttarne le
potenzialità e garantirne la sostenibilità, piuttosto che cercare
inutilmente di esorcizzarle.
Una parte del movimento ambientalista ha deciso dunque di giocare una
partita truccata. Sbagliando e prenotando, probabilmente, la
sconfitta. Ma, forse, non è stato lui a truccare il gioco. Forse il
biliardo su cui gli ambientalisti hanno deciso di giocare la partita
sbagliata è stato manipolato da altri. E, leggendo i documenti
raccolti con certosina meticolosità e grande acume critico da Anna
Meldolesi, è forse possibile individuarlo l'autore autentico di quel
trucco. Il colpevole. O, almeno, il responsabile primo. Si tratta
delle grandi aziende multinazionali che, all'inizio degli anni '90,
sulle moderne biotecnologie si sono gettate a capofitto. Commettendo
almeno tre errori gravi e determinanti.
Primo: non hanno capito che intorno alle biotecnologie stava
maturando una viva sensibilità di tipo ambientale. Eppure lo avevano
scritto, nero su bianco e con grande anticipo, i capi di stato e di
governo di oltre 160 paesi che hanno dato vita, nel 1992, alla
Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo di Rio de
Janeiro. Le grandi aziende multinazionali hanno ignorato quel chiaro
e tempestivo avvertimento, muovendosi poi con irresponsabile
arroganza.
Secondo: l'arroganza ha portato quelle aziende a sviluppare
biotecnologie verdi che arrecano molti vantaggi ai produttori, ma non
mostrano di portare nessun beneficio diretto ai consumatori. La soia
Roundup, modificata geneticamente dalla Monsanto per resistere a un
erbicida prodotto dalla medesima Monsanto, arreca grossi benefici
all'azienda, arreca forse qualche beneficio agli agricoltori, ma non
arreca alcun beneficio diretto ai consumatori. Non è un caso che le
biotecnologie di seconda generazione, quelle che mirano a produrre
vantaggi diretti per i consumatori (e magari per i consumatori
poveri), stiano emergendo solo ora e fuori dai laboratori delle
multinazionali. Non è un caso che il golden rice, il riso ricco di
beta-carotene, il riso ricco di ferro, i nutriceuticals (sostanze che
sono insieme alimenti e farmaci) che promettono di migliorare la
dieta povera di vitamina A e/o di ferro, dando un contributo diretto
e visibile a risolvere i problemi di cecità e anemia di milioni di
persone nel Terzo Mondo, siano stati messi a punto in un laboratorio
pubblico della apparentemente scettica Europa (quello del Politecnico
federale di Zurigo), grazie anche al finanziamento di una
organizzazione americana che non ha fini di lucro, come la
Rockefeller Foundation. L'errore delle multinazionali, come riconosce
anche Anna Meldolesi, ha stimolato la sensibilità del pubblico. E ha
portato alla (apparente) contraddizione di persone che magari
accettano di curarsi sistematicamente con l'insulina prodotta da un
batterio geneticamente modificato, ma rifiutano di indossare anche
una sola volta la camicia di un cotone prodotto con una pianta
geneticamente modificata. Tutte le indagini in tutto il mondo
dimostrano che la gran parte delle persone ha un'immagine positiva
delle biotecnologie rosse (produzione di farmaci) proprio perché vede
un beneficio diretto per la propria salute. Mentre nutre dubbi sulle
biotecnologie verdi perché quel beneficio diretto non riesce ancora a
vederlo.
Ma le grandi aziende multinazionali hanno commesso un errore ancora
più grave. Hanno cercato con plateale arroganza di acquisire il
monopolio delle moderne biotecnologie, con quella forsennata corsa ai
brevetti e quel carillon vertiginoso di ingegneria finanziaria e
aziendale che Anna Meldolesi ha scrupolosamente documentato. Questa
plateale arroganza ha generato preoccupazioni non solo nel grande
pubblico, ma anche nei governi. E si tratta di preoccupazioni
politiche ed economiche legittime. Anche se troppo spesso hanno
suscitato reazioni scomposte, che hanno finito per inquinare anche il
dibattito scientifico.
Sono queste le tre azioni con cui le aziende multinazionali hanno
truccato fin dall'inizio quella partita delle biotecnologie che, poi,
molti (troppi) ambientalisti (ma anche politici, religiosi, movimenti
vari) hanno incautamente accettato di giocare. Purtroppo le
condizioni iniziali sono in grado di condizionare pesantemente
l'evoluzione di un sistema dinamico. Cosicché riportare il dibattito
sulle biotecnologie su un binario più corretto, per sfruttare in
maniera sostenibile tutte le (enormi) potenzialità, non sarà impresa
facile. Ciò non toghe che sia un'impresa urgente e necessaria.