L'UNITA', 6 gennaio 2002
PIETRO GRECO 
PECORA CLONATA, MEZZA AMMALATA
Il primo esemplare generato per trasferimento del nucleo cellulare ha
una malattia da «vecchiaia» anche se la sua età anagrafica è giovane.
Leggi del marketing e comunicazione scientifica
---------------------------------------------------------------------

Dolly ha l'artrite.  Lo ha rivelato ieri, con un'intervista
televisiva alla Bbc, il biologo scoz­zese Ian Wilmut, che cinque anni
fa fece nascere, per clonazione, la pecora più famosa del mondo. La
notizia sta facendo il giro del mondo.  Per due motivi.  Perché Dolly
è una diva.  La prima, autentica diva della scienza imprenditrice. La
scienza proiettata verso il mercato che utilizza sapienti cam­pagne
di marketing per affermare i suoi prodotti.  E, proprio come succede
ai membri dello «star sy­stem», anche un raffreddore di Dolly riesce
a rompere il muro dell'attenzione dei mezzi di comunicazione di
massa. Il secondo motivo è più propriamente scientifico.  Dolly è
giovane.  Ha appe­na cinque anni.  E a quell'età, di solito, le
pecore proprio come gli uomini, non soffrono di artrite.  Cosicché il
«padre» Wilmut si chiede preoccupato se l'artrite che Dolly ha
sviluppato nella zam­pa posteriore sinistra sia, come dire, pura ma
naturale sfortuna oppure sia dovuta in qualche mo­do al particolare
processo che ha dato vita alla pecora: il processo di clonazione per
trasferimento di nucleo.

Insomma, rimugina Wilmut, Dol­ly potrebbe essere più vecchia del­la
sua età anagrafica, il che spie­gherebbe la malattia «da vecchia» che
ha sviluppato. Il dubbio, natu­ralmente, non riguarda solo Dol­ly. Ma
tutti i mammiferi clonati per trasferimento di nucleo.  La tecnica
consente di riprogramma­re il nucleo di una cellula adulta e farlo
partire da zero.  Consenten­do così, all'ovocita in cui viene
immesso, di sviluppare un feto e poi un animale adulto. Ma, questa è
la domanda, l'organismo che nasce potrebbe avere in qualche mo­do
memoria dell'età adulta del nucleo cellulare da cui si è sviluppato
e, quindi, nascere già vecchio o, comunque, un po­chino più vecchio.

Il tipo di risposta che ammette questa domanda può modificare
profondamen­te il destino sia della clonazione riprodut­tiva
(eticamente ammessa per gli animali, ma aborrita per l'uomo) sia
della clona­zione terapeutica (controversa ma non totalmente aborrita
per l'uomo). Il guaio è che una risposta a questa doman­da ancora non
c'è.  Anzi, esistono alcuni indizi contraddittori.  Il primo riguarda
i telomeri della stessa Dolly.  Sono più cor­ti che nelle pecore nate
col metodo cano­nico.  I telomeri altro non sono che la forma assunta
nello spazio dai cromoso­mi. In genere la lunghezza dei telomeri è
associata all'età.  Più l'età è avanzata, più i telomeri tendono ad
accorciarsi.  Quando Wilmut, quattro anni fa, annunciò di aver
analizzato i telomeri di Dolly, mo­strò che essi erano corti come
quelli di una pecora adulta.  Qual era il significato di quella
morfologia?  L'età genetica di Dolly era forse più avanzata della sua
età anagrafica?  La pecora era nata già vecchia?  Motti ritennero di
sì.  Anche perché la mortalità alla nascita dei mammiferi clonati
risulta molto più elevata che per i mammiferi generati col metodo
classico.

E questo lascia presumere che non sem­pre le cose funzionino nella
riprogram­mazione del nucleo.  Tuttavia l'agnellino delle highlands
scozzesi non mostrava al­lora e non ha mostrato fino a ieri alcun
segno macroscopico di invecchiamento precoce.  Il tempo, per Dolly,
sembrava passare come per ogni altra pecorella.  Molti, allora,
guardarono ai suoi telomeri come a una mera curiosità.

Quest'idea si è andata rafforzando nel tempo.  Soprattutto dopo che
nel­l'aprile del 2000, l'americano Robert Lanza ha mostrato che una
serie di vitellini clonati presso il suo istituto, nel
Massa­chusetts, al contrario di Dolly avevano i telomeri più lunghi
dei loro coetanei nati con la classica via sessuata.  Dovevano essere
considerati forse più giovani della loro età anagrafica?  Un
risultato analogo veniva ottenuto da Peter Lansdorp a Van­couver, in
Canada.  La clonazione, al con­trario di quanto aveva fatto intendere
Dolly, poteva dunque rappresentare un bagno di gioventù?

I biologi più prudenti consigliarono, per l'appunto, prudenza.  La
vicenda dei telomeri dimostrava tutt'al più che la cor­relazione tra
la forma dei cromosomi e l'età di un individuo non è così lineare
come si pensava.  Mentre restava del tut­to inevasa la domanda: qual
è il rapporto tra clonazione per trasferimento di nucleo e
invecchiamento di un individuo?

Una domanda non solo legittima, ma addirittura decisiva per molte
delle possibili applicazioni della tecnica di clo­nazione.  Se le
cellule nate da una cellula madre clonata hanno un processo di
in­vecchiamento alterato rispetto alle cellu­le «normali», l'uso
della tecnica per quasi tutti gli scopi rischia di essere
compro­messo.

Dopo che per cinque anni la clonazio­ne ha tenuto viva l'attenzione
del mon­do, scientifico e non, una risposta ancora manca.  E non solo
perché non è passato ancora il tempo minimo necessario a veri­ficare
con la prova del dito se il budino è buono: occorre attendere 12 anni
per le pecore e 20 per i vitelli per constatare se il normale
processo di invecchiamento risulta alterato.  Ma anche perché le
noti­zie, scientifiche, in materia stranamente circolano poco.

E' per questo che Ian Wilmut si è affrettato a dichiarare che,
malgrado l'artrite contratta in giovane età, «è ancora presto per
tirare conclusioni dal caso Dol­ly. Tuttavia sarebbe importante che
le aziende biotecnologiche e i laboratori di ricerca pubblici si
scambiassero le infor­mazioni sulla salute degli animali clonati, per
vedere se ci sono possibili minacce».

Già, perché questo c'è nell'era della scienza che si fa
imprenditrice.  Spesso a circolare sono le informazioni tipiche
del­lo «star system» e delle campagne di marketing, quelle che fanno
spettacolo.  Mentre le informazioni che contano dav­vero tendono a
restare segrete.