L'UNITA', 10 APRILE 2000 PIETRO GRECO Scienza & new-economy. Ovvero biotecnologia Due volumi sottolineano l'importanza della ricerca più avanzata e le potenzialità che riservano al futuro le tecniche di manipolazione sono la vera rivoluzione del '900 Bernard R. Glick e Jack J. Pasternak, "Biotecnologia molecolare", Zanichelli, lire 138.000 Viviamo, ci dicono, nel secolo delle biotecnologie. Già, perché il XX secolo, il secolo che sta per concludersi, è il secolo in cui l'uomo ha acquisito le conoscenze e le tecniche molecolari per manipolare la vita. E queste nuove capacità, sostengono alcuni, segnano una svolta epocale. E caratterizzano il Novecento più delle grandi guerre mondiali. Più della lotta tra fascismo e democrazia. Più del conflitto tra capitalismo e comunismo. Più delle lotte per l'emancipazione della donna. Più della televisione, del computer e di Internet. Perché la rivoluzione della biotecnologia molecolare informerà di sé il nostro futuro, immediato e profondo, modificando non solo la nostra vita, ma anche la nostra percezione della vita. E', dunque, una rivoluzione culturale, sociale, etica, quindi politica, come poche altre nella storia dell'umanità. Si può essere o meno in accordo con queste apodittiche affermazioni, ma è certo che la biotecnologia molecolare rappresenta già oggi, qui e ora, una grande innovazione. Una novità così importante da avere già contribuito a modificare il modo di fare scienza; da avere già suscitato in larghe masse speranze vitali e repulsioni viscerali; da aver già animato i mercati borsistici; da aver generato, da sola, una nuova classe di studi: la bioetica. Mai, forse, una tecnica era riuscita a fare tanto in così poco tempo. A questa innovazione tecnologica, ai suoi fondamenti, alla sua giovane storia, due ricercatori canadesi, Bernard R. Glick e Jack J. Pasternak, del Dipartimento di Biologia dell'Università di Waterloo, hanno dedicato un libro che Zanichelli ha appena dato alle stampe in edizione italiana. Si tratta di un libro pensato e impostato per studenti universitari, ma accessibile a tutti. Un testo prezioso, per chi vuole comprendere su quali basi scientifiche-poggia la (più?) grande rivoluzione del XX secolo. Ed è un libro rivelatore. Perché ci ricorda (non c'è nulla di più rivelatore di un ritorno di memoria) non solo quanto sia dinamica la nuova biotecnica. Ma anche quanto sia giovane, ambigua e, per larghissimi tratti, incompiuta questa rivoluzione biotech. L'ambiguità nasce da due fattori. Il primo è che la biotecnologia molecolare è l'evoluzione moderna di una tecnica antica. Da molto tempo l'uomo manipola geneticamente la vita, incrociando piante e animali tra loro affini per costringerli a evolvere secondo i suoi desideri. Almeno da quando ha cessato di essere cacciatore e raccoglitore, per diventare agricoltore e allevatore. Tuttavia solo di recente, a metà degli anni '70, l'uomo ha acquisito la capacità, conferitogli delle tecniche del Dna ricombinante, di trasferire caratteri genetici tra specie evolutivamente molto distanti tra loro. Finora que sta capacità apparteneva solo al virus e ai batteri. Rispetto ai virus e ai batteri, l'uomo è dotato di coscienza. E quindi la primo essere vivente ad avere acquisito la capacità di trasferire i modo cosciente e (abbastanza) deterministico caratteri genetici specie evolutivamente molto diverse tra loro. Uno dei primi risultati di questa acquisita capacità di ricombinare il Dna, ritenuta impossibile fino a dieci anni prima, è stato quello di aver reso un batterio, l'Escherichia Coli, capace di produrre insulina umana. Quel gene umano trasferito a una specie così distante da noi ha consentito all'azienda che ne è stata per prima capace, la californiana Genentech, di realizzare, alla Borsa di New York, il 15 ottobre del 1980, il più veloce aumento delle quotazioni azionarie della storia. Il titolo Genentech balzò quel giorno, nei primi 20 minuti di quotazione, dai 35 agli 89 dollari di valore. Inaugurando, forse, la stagione della new economy. E qui siamo al secondo carattere di ambiguità. La biotecnologia molecolare è insieme scienza, tecnica ed economia. Anzi, nuova economia. E' una scienza, perché spesso i suoi (bio)prodotti ricombinanti sono fonte di nuova e inedita conoscenza. E' una tecnica, perché la sua finalità primaria non è generare nuova conoscenza, ma realizzare prodotti ricombinanti, cioè geneticamente modificati, destinati a un uso sociale. E' un'economia. Perché, storicamente, i biotecnologi molecolari, soprattutto quelli angloamericani, hanno individuato nel mercato il vettore primario per diffondere nella società i loro prodotti ricombinanti. Inaugurando, di fatto, la nuova stagione della "scienza imprenditrice": in meno di tre anni, dopo quel fatidico 15 ottobre 1980, negli Stati Uniti nacquero ben 200 aziende biotecnologiche, per lo più a opera di professori universitari. Craig Venter il fondatore della Celera Genomic Systems, l'azienda privata di Rockville che, nei giorni scorsi, ha annunciato di aver sequenziato l'intero genoma umano, non è che l'ultimo e geniale epigone della scienza post-accademica e dello scienziato imprenditore. Quelle aziende biotech, fondate da uomini di scienza, nate su un'idea e finanziate dalla Borsa rappresentano davvero un prototipo di quella che noi oggi chiamiamo new economy. Se non teniamo di questa sua triplice natura, scientifica, tecnica ed economica, e, quindi, della sua intrinseca ambiguità, non capiremo nulla della rivoluzione della biotecnologia molecolare. Una rivoluzione annunciata e già, in parte (in minima parte), operata. Nel loro libro Glick e Pasternak illustrano, in dettaglio, le applicazioni, attuali e potenziali, del Dna ricombinante. Riguardano tutti gli esseri viventi (microbi, piante, animali, uomo) in svariati campi (medico, farmaceutico, agroalimentare, ambientale, industriale). Anche solo elencarle, queste applicazioni, porterebbe via troppo spazio. Possiamo dire, tuttavia, a quanto ammonta il fatturato delle aziende biotech nel mondo. Ad almeno 60 miliardi di dollari: 120mila miliardi di lire. Il 60% è prodotto in campo biomedico, grazie a una quindicina di farmaci commercializzanti (tra cui insulina umana, interferoni, fattore antiemofilico, ormone della crescita).Un altro 30% del fatturato biotech è prodotto in campo agroalimentare, attraverso piante transgeniche, per lo più resistenti a pesti o a pesticidi. Un campo in cui molte sono le aspettative e molte le promesse (finora non realizzate) è quello della terapia genica. La possibilità di curare alcune malattie dell'uomo alla radice, ovvero a livello del genoma. L'insieme di questi dati e di questi campi di interesse, ci dà una pallida idea della potenza, positiva, della biotecnologia molecolare. Ma, come dicevamo, la tecnica è ambigua. E accanto ai possibili vantaggi, Glick e Pasternak elencano i rischi. Che non sono stati ancora appieno valutati. E che possiamo riassumere in due domande, per ora, senza una risposta definitiva. Quanto possono essere pericolosi per l'uomo e per l'ambiente i (bio)prodotti dall'ingegneria genetica? Quanto può essere dannoso per l'uomo, per l'ambiente e per la scienza stessa la dimensione imprenditoriale della biotecnologia molecolare?