Diario, 7 dicembre 2001, p.24
IL NOSTRO INVIATO NEL MARKETING
La clonazione umana è fantascienza, ma alimenta un business molto reale
Venditori di cloni
Di Sabina Morandi
ROMA

La sala da pranzo del Grand Hotel è gremita di grossi calibri: ci sono le più famose teste pensanti internazionali nel campo della genetica e della biologia, tutti convenuti a Rimìni per raccogliere le medaglie del Senato italiano e del Centro Pio Manzù, con tanto di diretta televisiva Rai. E, subito dopo, eccoli seduti all'interminabile tavolo riservato ai Nobel come Kary Mullis, il biochimico che è stato chiamato all'Accademia di Svezia per avere inventato la più diffusa tecnica di replicazione del Dna, oppure a quelli in odore di Nobel come Howard Gardner, che deve la fama alle sue ricerche sulle intelligenze multiple. Ma al pranzo di gala ci sono anche personaggi come Richard Dawkins, star del movimento neo-darwiniano, che siede vicino a un filosofo del calibro di John Searle e al famoso psicoanalista junghiano James Hìllman.

A un tratto, fra i cristalli immacolati e la posateria d'argento, scoppia una lite furibonda. Le urla, così incongruenti nel profluvio di dorature d'inizio secolo, richiamano i giornalisti stipati in una sala a parte, che si affacciano per godersi uno spettacolo fuori dal comune: da un lato del tavolo Luca Cavalli-Sforza, altro grande nome internazionale nel campo della genetica delle popolazioni, tenta dì arginare le invettive di un personaggio non nuovo a queste uscite. Si tratta di Severino Antinori, oscuro ginecologo romano balzato agli onori della cronaca per avere praticato la fecondazione artificiale su una donna di 63 anni, e diventato in seguito il «santo patrono» della clonazione. Gli americani dicono che la politica ti costringe ad avere strani compagni di letto. Evidentemente la stessa cosa comincia a valere anche per la scienza, se gli organizzatori delle prestigiose giornate di studio di Rimini si sono fatti adescare dal presenzialismo di un Antinori.

La lite, molto probabilmente, è stata frutto della sua incapacità di sostenere un contraddittorio senza insultare l'interlocutore, come ha fatto recentemente in televisione, accusando Marcello Buiatti, cattedratico di genetica all'Università di Firenze, di avere comprato la laurea. Eppure Antinori è uno specialista conosciuto all'estero e si vanta di capeggiare una squadra internazionale di ricercatori. Ma, da quando ha annunciato ufficialmente che entro due anni lui e Panayotis Zavos, esperto in fisiologia della riproduzione dell'Università del Kentucky, cloneranno un essere umano, è diventato un alleato estremamente scomodo.

Il movimento pro-clonazione, ormai, è una realtà che comincia a uscire da internet per affacciarsi sulla carta stampata. In uno degli ultimi numeri Wired, il mensile degli «esseri digitali» e della new economy, ha schierato tutto il suo pre-gevole armamentario grafico-pubblicitario per sostenere l'i-dea che clonare non è più un peccato mortale. «Tanto qualcu-no l'ha già fatto», è uno degli slogan che tornano più di fre-quente. L’altra argomentazione, che «fra alcune tecniche di fecondazione artificiale e clonazione non c'è una gran diffe-renza», non è priva di una certa validità. Non a caso la mag-gior parte dei fautori della clonazione umana, che hanno crea-to anche un apposito sito, www.humancloning.org, sono per l'ap-punto ricercatori specializzati nelle tecniche di fecondazione artificiale che, come Antinori, sostengono di voler solo aiuta-re delle coppie disperate, per la maggior parte genitori desi-derosi di «ricreare» un figlio prematuramente scomparso. Fra gli strani compagni di letto dei pro-clonazione c'è addirittu-ra una setta, i Raeliani, che sostengono che gli esseri umani stessi siano stati clonati da scienziati alieni. E, a parte le loro deliranti teorie religioso-scientifiche, pare che i Raeliani abbia-no davvero i soldi e i mezzi - come le donatrici di ovuli e le prestatrici d'utero - necessari a compiere l'impresa.

Quanto tali farneticazioni siano prese sul serio lo dimo-stra la dichiarazione del 21 febbraio scorso, resa dal ministro del-la Scienza giapponese, Takashi Sasagawa, sulla necessità di esten-dere la proibizione di clonare esseri umani anche agli scienziati giapponesi che lavorano all'estero. Secondo la legge giappone-se chi tenta la clonazione umana in patria rischia fino a dieci anni di carcere ma all'estero può fare quello che vuole. Quando si è saputo che al progetto di clonazione gestito dagli scienzia-ti italiani e statunitensi, per il quale c'è una coppia nipponica in lista d'attesa, lavorano anche alcuni ricercatori giapponesi, Sasagawa ha proposto di «riformare immediatamente la legge sulla clonazione perché vengano puniti anche coloro che la vio-lano fuori dal Paese».

Anche il ritratto del movimento pro-clonazione che vie-ne fuori dall'inchiesta della rivista Time è a dir poco allarmante. Diffuso e ben ramificato, il movimento è sostenuto soprattutto dalle coppie sterili e da quei genitori che, avendo perso un figlio, tentano di rimpiazzarlo, ma trova un sostegno inaspettato anche da parte dei forti movimenti omosessuali dei Paesi anglosasso-ni, Stati Uniti e Australia in testa, che stanno facendo della clo-nazione una bandiera di rivendicazione politica e sociale. E se la clonazione non viene ancora praticata, i possibili clienti sono già abbastanza per mettere in piedi il business della conservazione delle cellule umane, in previsione del momento in cui non sarà più proibita e diverrà tecnicamente possibile. La Canine Cryo-bank di San Marcos, in California, la Alcor Life Extension Foun-dation in Arizona, e la Southern Cross Genetics australiana sono tutte specializzate nella «conservazione a lungo termine dei cam-pioni di Dna». Costo dai 5 ai 100 milioni di lire, a seconda del-la compagnia. Naturalmente questo non vuol dire che la clona-zione sia a portata di mano, così come il giro di soldi dei Rae-liani non prova che gli umani siano stati davvero clonati dagli alieni. Significa solo che queste società sanno vendere il loro pro-dotto, un abile cocktail promozionale di tecnologia, simbolismi e tragedie personali.

Secondo il significato che si dà correntemente alla paro-la clonazione, ovvero la copia di un individuo adulto ottenuta tramite i geni ricavati dalle sue cellule, la clonazione semplice-mente non esiste. Non esiste alcuna possibilità di fare una copia identica di un essere umano, e non esisterà mai, in quanto un singolo individuo di una qualsiasi specie è il prodotto di una serie di eventi che hanno avuto luogo, in quella forma, una sola volta, e che non potrebbero mai ripetersi nello stesso modo. Non si tratta solo dell'annosa contrapposizione fra chi sostiene che siamo determinati soprattutto dai geni e chi invece pensa che il ruolo principale lo giochi l'ambiente che ci circonda. Anche inteso nel modo più «determinista e genetico» possibile, l'organismo rimane unico, e irripetibile.

Il nome scientifico della clonazione è «trasferimento nucleare», ovvero il trasferimento del nucleo di una cellula adulta in una cellula uovo. Dopo il trasferimento la cellula uovo comincia a svilupparsi in un embrione che poi, una volta raggiunto un certo stadio, viene impiantato nell'utero. Questa è in sintesi la tecnica che viene volgarmente chiamata clonazione, la stessa che lan Wilmut utilizzò per clonare la famosa pecora Dolly. Può sembrare un procedimento relativamente semplice, in quanto ci si limita a introdurre il Dna da clonare nella cellula uovo, lasciando a madre natura tutto il lavoro.

IN BRUTTA COPIA. All'atto pratico però le cose si sono rivelate più complicate. Basti pensare che, dopo quattro anni di esperimenti, clonare mammiferi ha ancora un tasso di fallimenti incredibilmente alto: circa il 98 per cento dei cloni non s'impianta, viene abortito o muore appena nato. Inoltre, fra gli animali sopravvissuti, ci sono una serie di stranezze: organi in sovrannumero, fenomeni d'invecchiamento precoce - perché la cellula adulta da cui è stato tratto il Dna era già vecchia -, sistema immunitario disastrato. E, anche quando la cosiddetta clonazione ha avuto successo, ciò che si ottiene non sono affatto delle copie identiche all'originale. In realtà la «copiatura» lascia fuori dal processo moltissime cose.

In primo luogo, allo sviluppo dell'embrione partecipano dei piccoli organi chiamati mitocondri, situati nel citoplasma cellulare, una sorta di albume che circonda il nucleo. 1 mitocondri producono l'energia necessaria alla sopravvivenza e al buon funzionamento della cellula, e partecipano attivamente ai processi dello sviluppo dell'embrione. Inoltre, essendo esterni al nucleo, i mitocondri hanno in dotazione un loro proprio Dna, chiamato Dna mitocondriale o «mate mo», in quanto trasmesso per via femminile. La prima differenza che influenzerà il clone è quindi quella determinata dai mitocondri, che non vengono trapiantati mediante il trasferimento nucleare ma restano quelli dell'uovo «adottivo». In m secondo tempo entrerà in gioco l'influenza esercitata dall'utero nel quale l'embrione è stato impiantato e dall'organismo della madre adottiva, che determineranno il corso di quella particolare gestazione. Negli esperimenti condotti sulle mucche si è visto che perfino il colore e le macchie sul mantello non sono determinati dai geni ma dalla posizione che l'embrione assumerà nell'utero. Infine c'è il momento del parto, anche quello destinato a imprimere determinate caratteristiche nell'individuo. E, dopo il parto, entra in gioco l'ambiente esterno. Ma perfino nei rari casi in cui si condivide tutto quanto, il Dna nucleare, il Dna mitocondriale, l'utero, la gestazione, il parto e poi genitori, casa, città, condizioni sociali ed economiche, come nel caso dei gemelli monozigoti, non si avranno mai due copie identiche della stessa persona.

Mentre la clonazione delle singole cellule è largamente impiegata e forse, in un futuro ancora lontano, potrà offrire delle possibilità terapeutiche come fanno presagire le ricerche sul trapianto delle cellule staminali, la clonazione dei mammiferi è ancora una tecnica estremamente rudimentale. Ma la vera e propria clonazione degli individui, così come viene propagandata, in realtà non sarà mai possibile in quanto gli organismi sono unici e la freccia del tempo va in una sola direzione. Ma ciò non la rende un'idea meno pericolosa.

Se il narcisismo e la voglia d'immortalità sono al centro della scena, sono molte le ombre che si muovono ai margini. Una di queste è indubbiamente l'eugenetica, ovvero il progetto di selezionare gli uomini così come si selezionano gli animali da allevamento - con scarsi risultati, visti gli ultimi guai della zootecnia. Ah prendiamo uno degli esempi meno narcisisti: due genitori che hanno perso un bambino e vogliono clonarlo o perché non possono avere altri figli o perché gli viene venduta la possibilità di riavere «proprio lui ». Immaginiamo una coppia che ha perso un bambino per un cancro precoce, e lo rivuole indietro. Lasciamo perdere il fatto che sappiamo che non sarà mai lo stesso. Chi crede nel dogma del Dna è convinto che i geni trasferiti nel nucleo gli daranno una copia identica del bambino. Ma insieme a questa fede crederà che sia iscritta nei geni anche la sua morte precoce. E allora? è ovvio che, per non ripetere il dramma all'infinito, la coppia vorrà un clone del bambino morto salvo i geni che l'hanno prematuramente ucciso. Immaginiamo un altro caso, quello dei genitori gay che vogliono ottenere un figlio attraverso la clonazione. Ma il dogma dei Dna stabilisce che perfino le preferenze sessuali siano determinate dai geni. Allora? Alcuni avvocati che si occupano dei diritti civili vedono già in un futuro prossimo il rischio che, una volta individuati, gli embrioni gay vengano «terminati» perché non si vuole sottoporre il proprio figliolo alla discriminazione sessuale. Cosa faranno i genitori? Sceglieranno di produrre solo bambini gay attraverso la clonazione oppure - per evitare al figlio la sofferenza della discriminazione sociale - sceglieranno solo gli embrioni «etero»?

COME TI PREPARO IL MERCATO GENETICO. Sia chiaro, stiamo parlando di fantascienza. Per chi non è affetto dalla «genomania» la donazione è una pura fantasia, figuriamoci il gene dell'omosessualità e relativi test per individuarlo. Ma, innegabilmente, la genomania ha un mercato, ed è un mercato che tira, basti pensare alle banche dello sperma che smerciano dei supergeni per i futuri genitori. E questa in alcuni Paesi è realtà, non fantascienza. Ma gli esempi servono a chiarire qual è la vera posta in gioco: far passare l'idea che progettare dei bambini su misura non sia poi così mostruoso, né socialmente pericoloso. E far emergere questo bisogno dagli ambienti più disparati, per renderlo fonte di profitto.

La vecchia idea dell'eugenetica si riaffaccia qui spogliata del suo aspetto più terrificante, quello di un grande fratello pronto a sfornare cittadini geneticamente determinati al loro ruolo sociale, e viene rilanciata sotto le seducenti vesti dei mercato. La possibilità di decidere come saranno i miei figli e di comprare i loro geni, ovvero l'estrema libertà di comprare il futuro della specie. Naturalmente è una fregatura (come siamo abituati a considerare ogni promessa degli spot pubblicitari), ma il target - genitori disperati e malati allo stato terminale - la rende una pubblicità feroce, così come l'idea che viene trasmessa.

1 «donatori selvaggi» come Antinori, per conseguire un minimo di rispettabilità scientifica, tentano di salire sulla barca della ricerca seria, come quella sulle cellule staminali, ma rischiano di farla colare a picco. Chi cerca di isolare le cellule staminali adatte a riparare i tessuti danneggiati incontra problemi simili a quelli comportati dalla clonazione, prima fra tutte la difficoltà di riportare a uno stadio «totipotente» le cellule già differenziate. Si tratta di un filone di ricerca promettente nel quale si cominciano a intravedere dei risultati concreti, per esempio nei trapianti delle cellule della pelle. Ma anche qui ci sono problemi di ordine etico, sociale ed economico che vanno affrontati e discussi apertamente, anche se certamente non sono allo stesso livello di quelli sollevati dalla clonazione umana. E anche qui ci si scontra con un uso «promozionale» delle comunicazioni scientifiche, abitudine che i ricercatori che lavorano nel privato condividono con i «clonatori». L'ultimo, in ordine di apparizione, è l'annuncio dato pochi giorni fa dalla Advanced Cell Technology che ha, in questo modo, risollevato le sue quotazioni in Borsa. Che la clonazione di un embrione umano fosse una «non notizia» lo hanno rilevato gli esperti appena due giorni dopo. Come scrive l'autorevole Financial Times l'annuncio è estremamente problematico proprio perché manca di significato scientifico. Nessuno degli ovociti umani sviluppati è andato oltre le sei cellule. Per effettuare un trapianto di cellule staminali servono almeno cento cellule mentre l'embrione ottenuto inserendo il Dna di una cellula adulta nell'ovocita non è riuscito a svilupparsi oltre».

L'Advanced Cell ha scelto tempi e modi sbagliati per dare l'annuncio, rinfocolando le peggiori diffidenze dei comuni mortali nei confronti della scienza, paure che, ai tempi dell'antrace, sono più vive che mai. Ma le promozioni fanno danni anche in tempi più propizi. In primo luogo offrono false speranze a chi ha urgenza di una cura perché nessuno si premura di avvertire i malati che, come in questo caso, l'utilizzo di una simile tecnologia a fini terapeutici è ancora lontanissimo. In secondo luogo rendono un pessimo servizio alla scienza perché fanno passare l'idea che l'unica ragion d'essere della ricerca sia la sua applicabilità immediata ovvero la sua smerciabilità come prodotto. Discussioni aperte, informazioni dettagliate e maggiori finanziamenti a una ricerca pubblica svincolata dai capitali speculativi della Borsa sarebbero certamente il modo migliore per lasciare i venditori di cloni fuori dalla porta.