Documento allegato a un intervento al Forum del 12 novembre 2000

Rispetto l’opinione autorevole del Prof. Vittorio Menesini ma desidero manifestare il mio diverso punto di vista con questa breve nota.

Partiamo da alcune considerazioni di natura teorica: chi studia l’impresa sa che essa possiede una configurazione pluridimensionale. Oltre alla dimensione competitiva (legata allo stare sul mercato), l’impresa possiede una dimensione strategica (connessa alle sue capacità progettuali), una dimensione strutturale (determinata dagli individui che la compongono e dalle relazioni esistenti tra essi) ed una dimensione sociale.

Su quest’ultima vorrei soffermarmi: così come la dimensione competitiva ci dice in quale maniera e con quali esiti l’impresa si posiziona sul mercato per sfruttarne le opportunità confrontandosi con i concorrenti, allo stesso modo la dimensione sociale (o, per meglio dire, socio-ambientale) fornisce indicazioni riguardo al complesso sistema di relazioni "che ogni organizzazione intrattiene, consapevolmente o no, con una serie di attori non sempre riconducibili in modo diretto ai meccanismi del business" (1).

Pensare all’impresa come ad un organismo la cui unica finalità è quella di vendere prodotti/servizi e di generare reddito oltrechè riduttivo è, a mio avviso, sbagliato.

Il posizionamento sociale dell’impresa esiste ed è sotto gli occhi di tutti!

Rilevarne la presenza non è tanto un fatto di sensibilità od opinione ma, direi proprio, una questione di conoscenza. Nessuno può negare che ogni organizzazione si fonda su legami sociali e culturali interni e si connette con un insieme allargato di stakeholder comprendente il territorio, i clienti, i partner, gli azionisti, le collettività e l’ambiente naturale. L’impresa è un sistema aperto chiamato ad instaurare uno scambio equilibrato con ciò che la circonda al fine di garantire la propria sopravvivenza oltre che quella del sistema che l’accoglie.

L’impresa deve saper acquisire, produrre e restituire ricchezza affinchè il suo progetto di sopravvivenza possa considerarsi credibilmente fondato.

A queste riflessioni di ordine teorico vorrei affiancare una domanda: <<Che ne è nel medio-lungo termine di una impresa il cui unico obiettivo sia quello di generare profitto a beneficio dell’imprenditore o della proprietà?>>.

A mio avviso una siffatta impresa non riuscirà ad andare lontano!

L’azienda che non condivide il proprio progetto e non distribuisce ricchezza è un organismo destinato a non sopravvivere. I portatori di interessi che circondano l’organizzazione e che di essa fanno parte non potranno nel medio-lungo termine sostenere una relazione per essi non costo-efficace e, per questo motivo, prenderanno le distanze da essa.

Il problema non è, banalmente, costituito dalle belle intenzioni, dalla solidarietà o dalla filantropia che, secondo il mio modo di vedere, rappresentano opzioni non obbligate per una azienda.

Il problema è di natura strutturale!

L’impresa priva di un atteggiamento etico, che non genera valore e non distribuisce ricchezza, che appare incentrata sul "padrone" il quale ne spreme al massimo le capacità di produzione del reddito si lascia alle spalle, dentro e fuori dai suoi confini, "terra bruciata" e, prima o poi, ne paga le conseguenze.

L’azienda che non ha saputo evolversi riuscendo a generare valore socio ed eco-compatibile fatalmente si imbatetrà nell’esigenza di riprogettarsi ed i tempi a disposizione potrebbero esser troppo brevi!

In questo quadro l’imprenditore che, esprimendo se stesso, si mostra in grado di attuare uno sviluppo sostenibile avrà la possibilità di vincere una sfida molto impegnativa!

Per puntare a questo risultato occorre acquisire la consapevolezza che "l’impresa non può essere ricondotta esclusivamente ai parametri prestazionali di natura economico-finanziaria" e "guardare l’impresa dall’esterno per coglierne le propaggini nelle collettività che con essa si interfacciano", (1).

 

PIERO LOMBARDI

 

(1) Piero Lombardi, Impresa Sapiens, FrancoAngeli 2000.