Documento allegato a un intervento al Forum del 14 febbraio 2001

A parte i primi due articoli tratti dal sito del Sole 24 Ore on line, tutti gli articoli sono tratti dalla Stampa on line.

 

Appello per la ricerca

La ricerca italiana in campo agrobiotecnologico versa in una situazione drammatica.

La sua stessa sopravvivenza è messa a repentaglio da alcune iniziative dell’On. Pecoraro Scanio, Ministro per le politiche agricole e forestali (Mipaf). Dopo aver promosso una lunga campagna contro l’utilizzo della genetica moderna in campo agricolo, il ministro è passato alle vie di fatto promulgando direttive volte a far chiudere tutte le ricerche che utilizzano organismi geneticamente modificati (Ogm). La decisione ministeriale di annullare le sperimentazioni con Ogm in Italia non ha nulla a che vedere con considerazioni di tipo precauzionale: l’attività di studio e ricerca con Ogm da un lato già rispetta norme precise e specifiche direttive europee, dall’altro non riguarda affatto la commercializzazione di prodotti Ogm, materia che ricade sotto la giurisdizione delle parti sociali. Il Mipaf ha deciso di utilizzare i finanziamenti per la ricerca e la sperimentazione in campo agricolo come uno strumento per imprimere una svolta repressiva alla ricerca pubblica. Ai ricercatori del Mipaf, ma anche di Cnr, Enea e Università, infatti, è stato esplicitamente richiesto, per poter accedere ai finanziamenti, di rivedere i programmi di ricerca per il 2001. Di fatto, chi intenda continuare a lavorare nell’ambito dei Progetti di Ricerca del Mipaf è tenuto ad eliminare "volontariamente" dalle sue attività di ricerca qualunque sperimentazione con Ogm. La pressione imposto ai ricercatori del settore risulta tanto più grave in quanto i ricercatori dovranno interrompere programmi già proposti al Mipaf e da questo approvati a partire dal 1996 e per i quali avevano già ricevuto una prima tranche di finanziamenti. Tra i progetti finalizzati a rischio sono, ad esempio: "Biotecnologie vegetali" e "Biotecnologie in animali in produzione zootecnica" oltre a progetti di settore come i Piani Nazionali "Orticoltura", "Floricoltura" e "Frutticoltura", ma anche Programmi Ordinari di Ricerca di almeno 10 Istituti del Mipaf con applicazioni in settori di ricerca interessanti come quelli della resistenza a patogeni, a stress abiotici e qualità del prodotto. Ai ricercatori viene insomma chiesto di rinnegare la propria professionalità e la propria identità intellettuale, ovvero di modificare attività di ricerca da loro proposte e svolte negli ultimi quattro anni e, vale la pena ribadirlo, già approvate dal Mipaf.

Interrompere questi progetti di ricerca significa anche rinunciare a raccogliere i frutti dei fondi già investiti, sacrificando le prospettive di sviluppo della ricerca agroindustriale italiana, che pure vanta una considerevole tradizione e recenti successi proprio nel campo della genetica agraria innovativa. Questa decisione ne rincorre un’altra dello stesso stampo dell’ex assessore verde della regione Marche che ha emanato un decreto in cui si chiede ai centri di ricerca che dichiarino di non eseguire ricerche sugli Ogm se vogliono accedere a qualsiasi finanziamento. Difficilmente si può ritenere che l’on. Pecoraro Scanio, che ha fatto dell’opposizione ad alcuni strumenti biotecnologici una bandiera politica, interpreti correttamente le linee espresse dal Governo. Mai gli attuali Ministri del MURST (che comprende CNR ed ENEA), della Sanità e dell’Industria hanno pensato di strangolare la ricerca biotecnologica che preveda anche lo studio di Ogm. Anzi le istituzioni pubbliche italiane hanno ben dimostrato che le biotecnologie agroindustriali non sono monopolio delle multinazionali, ma patrimonio collettivo nazionale. Impegnarsi nella ricerca agroindustriale senza pregiudizi di sorta è un requisito indispensabile per difendere la competitività del settore agricolo italiano a livello europeo e internazionale. Perseguire la strada della ricerca e dell’innovazione, infatti, è il modo più efficace per difendere la ricchezza delle varietà agricole e dei prodotti tipici dell’agricoltura italiana che altrimenti sono destinati a soccombere nel confronto internazionale. Da nessuna parte in Europa si sta commettendo l’errore di credere che le legittime istanze di tutela dell’agricoltura tradizionale e dell’ambiente debbano essere accompagnate dalla penalizzazione della ricerca. In Germania il BML (Bundesministerium fuer Ernaehrung, Landwirtschaft und Forsten), riconosce esplicitamente che "i metodi di produzione tesi a tutelare l’ambiente e il benessere animale, non implicano la rinuncia all’uso e all’ulteriore sviluppo delle moderne tecnologie come l’ingegneria genetica e le nuove tecnologie dell’informazione. Semmai è vero il contrario: esse sono indispensabili per raggiungere questi scopi". La ricerca pubblica francese, infine, sta investendo pesantemente nel campo degli Ogm e della genomica vegetale per garantire alla Francia un ruolo di primo piano nel mercato agricolo del prossimo futuro. Vale la pena di notare che tanto la Germania quanto la Francia in sede comunitaria hanno assunto posizioni di estrema cautela per quanto riguarda la commercializzazione di prodotti transgenici in campo. agroalimentare, non diversamente da quanto ha fatto l’Italia. Ciononostante, non intendono porre vincoli pregiudiziali alla ricerca come invece intende fare il Mipaf in Italia, e anzi stanno promuovendo con grande impegno la ricerca in questo settore di importanza strategica.
La comunità scientifica italiana non può accettare questi attacchi intimidatori, ovvero che alcune metodiche scientifiche siano giudicate pericolose o irrilevanti sulla base di pregiudizi ideologici. Questo appello è rivolto alle Istituzioni e alla Società Civile perché vengano ristabilite quelle condizioni nelle quali soltanto può fiorire la libertà di ricerca, uno dei cardini irrinunciabili di una società emancipata e moderna.

Renato Dulbecco, premio Nobel per la biologia
Roberto Defez, IIGB-CNR, Napoli
Angelo Spena, Università di Verona
Edoardo Boncinelli, San Raffaele, Milano
Riccardo Cortese, Presidente FISV
Pablo Amati, Università di Roma
Silvio Garattini, Istituto Mario Negri, Milano
Luigi Lania, Università di Napoli
Paolo Costantino, Università di Roma
Enrico Bellone, Direttore Le Scienze
Francesco Sala, Università di Milano
Andrea Cavallero, Università di Torino
Chris Bowler, Stazione Zoologica, Napoli
Antonio De Flora, Direttore PF Biotecnologie del CNR, Genova
Angelo Vescovi, ricercatore di cellule staminali, Milano
Andrea Ballabio, TIGEM, Milano-Napoli
Tullio Regge, fisico
Carlo Alberto Redi, Laboratorio di Biologia dello Sviluppo, Università di Pavia

Domenicale 11/2/2001

L'onorevole non crede alla scienza
di Riccardo Viale


L’Italia con il decreto legge 381 del 1998 ha assunto come soglia massima di esposizione ai campi ad alta frequenza (ad esempio quelle delle antenne per i telefoni cellulari) una quantità elettromagnetica da 45 a 90 volte inferiore a quello adottato da tutti gli altri paesi del mondo e raccomandato dall’Unione europea. Come mai questa discrepanza? Su che differente criterio o evidenza scientifica si sono basati i nostri legislatori per normare in modo così difforme rispetto agli altri paesi? Nell’era della mucca pazza e dei cibi transgenici sono sempre più frequenti domande come le precedenti. Esse hanno a che fare con la "scientific governance" ovvero con il ruolo degli esperti scientifici nella formazione delle decisioni pubbliche in varie materie, dalla salute, all’ambiente, alla sicurezza tecnologica. In termini più generali esse fanno riferimento ai criteri con cui i membri di una data società e in particolare delle sue istituzioni, promuovono, valutano e utilizzano la conoscenza scientifica.

L’esempio iniziale è chiarificatore della posta in gioco. Il legislatore aveva davanti due scelte: o seguire le raccomandazioni dell’Istituto Superiore della Sanità (Iss) e delle maggiori agenzie sanitarie internazionali che ritenevano non esserci alcuna evidenza scientifica tale da porre un limite così restrittivo o conformarsi a quanto proposto dall’Istituto Superiore sulla Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (Ispesl) il quale, trincerandosi dietro il principio di precauzione, riteneva preferibile eliminare ogni rischio potenziale. Da una parte abbiamo una istituzione scientifica l’Iss, relativamente impermeabile alle pressioni di carattere sociale e politico che decide di attenersi ai principi propri della comunità scientifica e in particolare a quello dell’evidenza empirica controllabile e replicabile a livello intersoggettivo. Dall’altra un istituto, l’Ispesl più permeabile a variabili esogene di tipo sociale, come quelle sindacali e ambientaliste, che non accetta il sapere scientifico "certificato" come unico punto di riferimento conoscitivo. Il primo propone una politica del rischio scientifico basato sul "principio di certezza", cioè accettazione solo dell’evidenza scientifica riconosciuta come stabile nella comunità; il secondo opta, invece, per il "principio di precauzione", cioè utilizzo di qualsiasi informazione, anche se prodotta in modo non standard o che non configuri un fenomeno empirico stabile, come spunto per definire nuove soglie di rischio. Il legislatore optando per la seconda opzione fa una chiara scelta epistemologica. Rifiuta di considerare la scienza istituzionale, cioè quella espressa nelle principali riviste scientifiche internazionali, come unica sorgente di sapere sui fenomeni del mondo fisico e biologico. Accetta quindi, implicitamente, che la scelta delle sorgenti di conoscenza e le modalità di produzione della stessa siano guidate da ragioni di natura sociale e culturale. Sposa, in definitiva, un approccio epistemologico che non riconosce il primato della razionalità scientifica e propende verso le tesi "costruttiviste".

Il caso precedente pone una serie di quesiti. È giusto e secondo che criteri di giustificazione quel tipo di decisione? Come dovrebbero comportarsi i membri della società, delle sue istituzioni politiche ed economiche nel promuovere, valutare e utilizzare la conoscenza e, in special modo, quella scientifica? È questo il tema di riflessione di una nuova specializzazione epistemologica, denominata epistemologia sociale. Come succede per la disciplina madre vi sono modi radicalmente differenti per interpretare la sua missione. Vi è la corrente costruttivista, impersonificata in Steve Fuller e nella rivista da lui creata Social Epistemology, che sposa le tesi relativiste e post-moderne dell’epistemologia e sociologia contemporanea. In quanto tutta la conoscenza è una costruzione sociale, cioè è determinata dalle contingenze di valori, obbiettivi, necessità di un dato contesto socio-culturale allora scopo dell’epistemologo sociale è interpretare questo processo genetico, riuscendo, quando ciò fosse possibile a decostruirlo nelle sue variabili cruciali. Obbiettivo di questo lavoro è smascherare le componenti prescrittive di tipo razionalista e realista annidate nella società, nella politica come nelle istituzioni della cultura e della ricerca. Va da se che la politica scientifica e tecnologica ispirata a questa corrente dell’epistemologia pone il suo baricentro non sulle scelte di una autonoma comunità scientifica, ma sulle ragioni contingenti di natura sociale e politica.

Alvin Goldman si pone agli antipodi di tutto ciò. La sua epistemologia sociale, da alcuni chiamata anche analitica, parte da una concezione realista, che lui conia veritista, della conoscenza. Scopo della scienza, ma in generale di tutto il sapere empirico (come quello dell’uomo della strada nella soluzione dei problemi quotidiani o del giudice in cerca di prove), è la generazione attendibile di rappresentazioni vere sul mondo. La verità della rappresentazione non è tanto giustificata sul lato "a valle" della verificazione, quanto su quello "a monte" dell’attendibilità — percettiva e cognitiva, oltre che metodologica — della sua generazione.

Se la conoscenza ha questo scopo, allora missione dell’epistemologia sociale è indagare, valutare e prescrivere istituzioni politiche, gruppi sociali, tradizioni e valori culturali in grado di promuovere il perseguimento di questo fine epistemologico. L’epistemologia sociale ha, quindi, una funzione prescrittiva, oltre che valutativa. Essa può informare e guidare le "policy" rivolte alla produzione e utilizzo della conoscenza empirica (come nella generazione e valutazione dell’evidenza probatoria in un’aula di tribunale). Ha quindi un ruolo fondativo nella politica della scienza. Ad esempio se si vuole garantire la finalità veritistica nel sistema della ricerca scientifica, si dovrà salvaguardare l’autonomia scientifica dalle influenze inquinanti di tipo ideologico e politico; si dovrà garantire il massimo della libertà e competizione conoscitiva tra scienziati, cercando di neutralizzare eventuali "cartelli" o monopoli; si dovrà, anche con l’aiuto del Web, sviluppare un vero mercato trasparente della conoscenza in grado di valutare, senza tante asimmetrie informative, le ipotesi più innovative e il lavoro dei "new comers".

Alvin I. Goldman, «Knowledge in a Social World» Oxford 2000, Clarendon Press.
Special Issue on Alvin Goldman’s «Knowledge in a Social World. (2000). Social Epistemology». Vol. 14, 4, pagg. 236-334.



11 febbraio 2001

Libertà per la scienza

di Aldo Cazzullo

E’ un manifesto per la libertà di ricerca, e qualcosa di più. E’ il segno della nascita di una lobby di pressione, della rivolta degli scienziati contro il governo e la politica; cui seguirà martedì prossimo una «marcia su Roma» di alcuni tra i più noti ricercatori italiani, che in una conferenza stampa organizzata con il sostegno dell’Osservatorio laico di Giovanni Negri e Cinzia Caporale e della fondazione Einaudi annunceranno la fondazione di un Forum permanente per la libertà di ricerca scientifica.

E sottoporranno ai due candidati premier Berlusconi e Rutelli un questionario per «stanarli»: «Diteci come la pensate su biotecnologie, cellule staminali, innovazione, progresso». Il manifesto, sottoscritto da Renato Dulbecco, Silvio Garattini, Tullio Regge, Carlo Alberto Redi, Edoardo Boncinelli e altri 1150 scienziati, ricercatori, docenti universitari, che La Stampa pubblica integralmente, indica fin dalle prime righe l’obiettivo numero uno dell’offensiva della scienza: il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, accusato di «mettere a repentaglio la sopravvivenza della ricerca italiana in campo biotecnologico».

Il documento non denuncia solo la drammatica mancanza di fondi, ma anche «la svolta repressiva» impressa dal governo Amato e in particolare dal ministro Verde. Parla di «attacchi intimidatori», di «pregiudizi ideologici». E apre un dibattito cui il governo, la campagna elettorale e i candidati premier non potranno non tener conto.

12/2/2001

Biotecnologie, le regole della Ue

di Enrico Singer
corrispondente da BRUXELLES

Ci sono voluti tre anni di discussioni, sono state fatte centinaia di riunioni, sono stati ascoltati esperti, sono state esaminate montagne di documenti, ma adesso la «Direttiva europea sull’emissione volontaria nell’ambiente degli organismi geneticamente modificati» è pronta. Sarà approvata mercoledì prossimo dall’Europarlamento a Strasburgo.

E’ un testo importante: è la legge che, d’ora in poi, regolerà il passaggio degli Ogm dal campo della ricerca e della prima sperimentazione a quello del consumo nella vita di tutti i giorni. Con un impianto di garanzie e di controlli, naturalmente. Ma con un principio fondamentale: la modificazione genetica entra nella legislazione della Ue. La moratoria che aveva bloccato la prima direttiva del dicembre 1996 ha ormai i giorni contati.

E l’Italia, come molti altri Paesi, dovrà rivedere la sua politica di divieto che è stata, finora, tra le più severe e sulla quale, proprio in questi ultimi giorni, si è aperta la polemica dopo l’appello per la «libertà della scienza» del premio Nobel Renato Dulbecco firmato da oltre mille scienziati. La linea della nuova legge europea la riassume il laborista britannico David Robert Bowe, che è relatore del ponderoso provvedimento: non si tratta né di ripetere il processo a Galileo, né di incoraggiare esperimenti alla Frankenstein: «Il nostro obiettivo è la tutela della sicurezza dei consumatori nell’equilibrio tra le esigenze della ricerca e dei valori ecologici». Un equilibrio complesso. Tanto che per fissarne le basi, la direttiva europea ha battuto tutti i record di lunghezza.

E’ un documento di 91 pagine composto da 38 articoli, 63 considerazioni preliminari - che sono altrettante raccomandazioni vincolanti - e 34 pagine di allegati che definiscono la natura degli Ogm, le tecniche ammesse, la valutazione dei rischi ambientali, le regole d’informazione e quelle di monitoraggio. Secondo il parere del relatore, la direttiva sarà approvata anche se appare scontato il voto sfavorevole dei Verdi e se sono previste alcune defezioni nell’eurogruppo socialista, compresa quella dei ds italiani che sembrano orientati all’astensione. Non tanto per riserve di principio, ma perché la direttiva presuppone delle norme europee sulla etichettatura dei prodotti e sulla rintracciabilità delle loro origini che non sono state ancora adottate. Anche se la Commissione si è impegnata a farlo entro il 2001.

I CONTENUTI DEL TESTO. La legge è il frutto della «procedura di conciliazione» tra la proposta di base della Commissione europea del 23 febbraio 1998, gli emendamenti dello stesso Europarlamento e la posizione comune adottata dal Consiglio il 9 dicembre del 1999. Mercoledì prossimo sarà votata in terza (e definitiva) lettura a Strasburgo a maggioranza semplice. Stabilisce le condizioni alle quali possono essere utilizzati gli Ogm che vengono così definiti: «organismi, diversi da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo difforme da quanto avviene in natura». Lo scopo delle biotecnologie, si sa, è quello di ottenere organismi più produttivi e più resistenti. E la direttiva europea lo accoglie, ma nel rispetto di un lungo elenco di limiti.

I LIMITI AGLI OGM. Prima di tutto valutazione dei rischi, anche quelli indiretti e ritardati e quelli che potrebbero essere frutto degli «effetti cumulativi». Poiché un solo Ogm può essere innocuo per la salute dell’uomo o per l’ambiente, ma il cumulo degli Ogm potrebbe avere risultati diversi. Questi rischi saranno monitorati con pareri scientifici indipendenti. E’ anche vietato esportare prodotti a base di Ogm fuori dalla Ue senza informare i Paesi destinatari in base al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza. E’ fatto obbligo di informare il pubblico, attraverso l’etichettatura, della presenza di Ogm nei prodotti.

E’ fissato il principio della responsabilità civile totale dei danni eventualmente causati alla salute umana o all’ambiente. E’ resa obbligatoria, di conseguenza, l’assicurazione dei responsabili della immissione di Ogm. E’ stabilita la richiesta alle autorità dei singoli Stati membri di un consenso all’impiego di Ogm. E’ previsto l’obbligo, in caso di disseminazione involontaria, di informare il pubblico e la Commissione Ue. In caso di accertamento di pericoli, è prevista l’immediata interruzione dell’impiego di Ogm. Le autorizzazioni sono concesse per un periodo massimo di 10 anni e sono, comunque, sottoposte a monitoraggio continuo.

ALLARME ANTIBIOTICI. Particolare attenzione è posta agli Ogm che contengono geni che sviluppano una resistenza agli antibiotici utilizzati per curare l’uomo. E’ previsto che i marcatori di resistenza agli antibiotici siano eliminati dagli Ogm entro il 31 dicembre del 2004. E’ uno dei punti più controversi. I sostenitori delle biotecnologie affermano che i veri pericoli per l’uomo arrivano dall’uso di farmaci - spesso veri e propri veleni - usati negli antiparassitari e nei concimi nelle coltivazioni tradizionali e che l’ingresso degli Ogm risolverà il problema. Gli avversari sostengono che un’alimentazione geneticamente modificata cambierà la reazione dell’organismo ai farmaci finora usati. E’ un altro campo in cui la parola ritorna alla ricerca.

(10 febbraio 2001)

 

 

Martedì a Roma si fronteggeranno due manifestazioni

Biotech, scienziati e verdi scendono in piazza

ROMA «Non si può mettere il chiavistello al cervello e quindi alla ricerca scientifica», avverte il premio Nobel Rita Levi Montalcini. E attacca gli ecologisti, con in testa il ministro per le Politiche Agricole Alfonso Pecoraro Scanio, e il mondo religioso, colpevoli di frenare la ricerca che utilizza organismi geneticamente modificati e le cellule staminali. La Montalcini è una delle voci eccellenti che hanno deciso di farsi sentire: la loro protesta ha scatenato una dura polemica ieri, ma destinata a provocare ulteriori scontri anche nei prossimi giorni.

Martedì 1150 studiosi, guidati dal premio Nobel Renato Dulbecco, esprimeranno per la prima volta pubblicamente la loro opposizione nei confronti della linea assunta dal governo. Tutti gli studiosi hanno firmato il manifesto «Libertà per la scienza» contro il blocco delle ricerche che utilizzano gli ogm, e intendono manifestare «per non far morire la ricerca, il cui fine è il miglioramento della qualità della vita e la lotta contro le malattie».

La risposta degli ecologisti non si fa attendere. Sempre per martedì i Verdi hanno organizzato una contromanifestazione di scienziati che appoggiano le loro posizioni sul «principio di precauzione», come ha annunciato Grazia Francescato, presidente del movimento. «C’è oggi una scienza pazza contro cui bisogna intervenire - ha spiegato - Noi vogliamo la libertà di ricerca, ma questa deve essere indipendente: quella attuale, invece, al 95% è in mano alle multinazionali».

Le associazioni dei consumatori sono d’accordo con le tesi degli ecologisti: l’Adusbef ha criticato la scienza «non neutrale ma asservita agli interessi economici» e si è chiesta dove fossero gli scienziati quando «per mero profitto la scienza ha consentito di alterare i cicli naturali secondo i quali gli erbivori non possono mangiare carcasse di propri simili, trasformati in farine animali infarcite di Ogm». Nel frattempo è in dirittura d’arrivo, dopo tre anni di discussioni nell’Europarlamento, la direttiva comunitaria sugli Ogm.

Gli eurodeputati saranno chiamati a pronunciarsi mercoledì prossimo a Strasburgo. Un compromesso è stato raggiunto nelle scorse settimane fra Europarlamento e governi dei quindici Paesi membri sul contenuto della normativa: sarà più restrittivo, prevedendo che le autorizzazioni di immissione sul mercato europeo di Ogm siano concesse a tempo determinato, che il pubblico possa essere informato in determinati casi sulla localizzazione di coltivazioni di piante transgeniche in corso, e che sia effettuata una valutazione dei rischi dell’introduzione in Europa di Ogm, estendendola anche a effetti «indiretti e ritardati». Infine sarà introdotto il principio generale di precauzione nell’esame degli Ogm.

I Verdi europei hanno però già annunciato che non voteranno la direttiva: «Fino a quando il quadro legislativo non sarà completato la moratoria sugli Ogm non deve essere sospesa», ha spiegato l’europarlamentare verde Monica Frassoni. Nessun problema per la colza transgenica. hanno avvertito gli esperti del Comitato scientifico europeo: «Non ci sono prove che abbia effetti nocivi sulla salute umana, animale e sull’ambiente».

Greenpeace ha invece protestato duramente, ieri a Basilea, contro il riso transgenico detto «riso dorato», da altri invece strenuamente difeso perché contiene quantitativi di vitamina «A» e di Ferro che potrebbero salvare dalla cecità molti bambini dei Paesi poveri.

(11 febbraio 2001)

 

Pecoraro Scanio

«Non combatto la ricerca ma l’integralismo scientifico»

Ministro Pecoraro Scanio, oltre 1150 scienziati italiani la accusano di «mettere a repentaglio la sopravvivenza della ricerca biotecnologica». Che cosa risponde?

«Che io ho aumentato i fondi della ricerca, da 61 a 68 miliardi, e ho varato un bando per 30 miliardi da assegnare con criteri trasparenti: saranno pagati solo quelle ricerche i cui risultati provvisori verranno pubblicati sul sito Internet del ministero.Non ci sono mica solo gli ogm. L’Italia è il primo Paese al mondo per la meccanizzazione agricola: Internet e satelliti applicati all’agricoltura. Anche questa è tecnologia».

Allora perché le imputano una «svolta repressiva alla ricerca pubblica»?

«Perché non io, ma il governo e il Parlamento della Repubblica - cosa che i firmatari del manifesto dimenticano -, hanno vietato le ricerche sugli ogm in campo aperto. Io sfido gli scienziati a garantire che coltivazioni transgeniche non possano contaminare coltivazioni biologiche.Il rischio c’è, per cui la ricerca può continuare, ma nelle serre o nei laboratori. La vicenda mucca pazza insegna: la scienza sana si preoccupa delle precauzioni. Questi scienziati mi accusano di essere un oscurantista. Forse hanno letto altri decreti di altri ministri. Oppure sono caduti in un equivoco. In effetti la prima stesura del decreto conteneva un refuso: anziché il divieto di ricerca in campo "aperto", si parlava di divieto in campo "agricolo". Ma ho fatto un altro decreto per correggere l’errore».

Sotto accusa non c’è solo il suo provvedimento, ma i «pregiudizi ideologici» della cultura ambientalista, di cui lei è un rappresentante.O no?

«Mi pare il momento peggiore per accusare di fondamentalismo chi applica il principio di precauzione. Io sono un pragmatico; gli integralisti sono loro, sono certi scienziati. Noi oggi siamo vittime del fondamentalismo pseudoscientifico di chi sosteneva che le farine animali non creavano problemi. Dove sono finiti gli scienziati che ancora pochi mesi fa dicevano ai poveri agricoltori che gli allevamenti intensivi non nascondevano insidie? La scienza deve garantire la reversibilità. Altrimenti è antiscienza.Non si può dire: "Io gioco con i geni, e non garantisco di poter riportare le cose come prima"».

La politica quindi può limitare non solo l’uso dei risultati della ricerca, ma anche la sua libertà?

«La mia prima preoccupazione dev’essere quella di tutelare due milioni di agricoltori e 57 milioni di consumatori, non duemila scienziati. Il mio non è un approccio bucolico. La passione legittima per la propria ricerca non deve far premio su una visione generale, che tocca ai politici interpretare. Altrimenti sarebbe la giungla, la deregulation totale».

Garattini sostiene che non ci sono prove che i prodotti biologici siano migliori di quelli transgenici.

«Ma io non ho nulla contro la commercializzazione dei prodotti transgenici, purché siano indicati come tali sull’etichetta. Se la gente li vuol mangiare, faccia pure».

Il suo collega Veronesi fa notare che 260 milioni di americani già lo fanno.

«A lungo l’hanno fatto inconsapevolmente, in una sorta di grande esperimento di massa. Ora almeno lo sanno. Io non voglio che gli italiani diventino cavie. L’agricoltura Usa si basa su prodotti standardizzati a bassissimo costo: gli ogm sono uno sbocco naturale. Quella italiana punta su tipicità e qualità. Il transgenico danneggerebbe questa immagine».

(8 febbraio 2001)

Veronesi

«Una crociata antistorica osteggiare le biotecnologie»

Ministro Veronesi, che cosa gliene pare dal manifesto sottoscritto da oltre 1150 suoi ex colleghi?

«Guardi che io non ho mai smesso di considerarmi innanzitutto un ricercatore, che ha fatto della ricerca il tratto distintivo della sua vita, e ora cerca di trasferire nella sua attività di ministro l’esperienza fatta come uomo di ricerca. E’ intelletto, forza del pensiero, capacità intrinseca a ognuno di elaborare nuove esperienze, di affrontare l’ignoto, di costruire un futuro, di creare e quindi di guardare a nuovi orizzonti; questo, tutto questo è ricerca della conoscenza e quindi, in sostanza, della scienza. Aggiungere o sostituire ai limiti naturali altri limiti, in nome di pregiudizi o ideologie, è un errore da respingere. Gli unici limiti che dobbiamo riconoscere sono quelli imposti dall’etica».

Gli scienziati italiani accusano il governo e in particolare il ministro Alfonso Pecoraro Scanio di non fare nulla per la ricerca, anzi, di ostacolarla. Hanno torto?

«Rispondo per quel che riguarda il mio ministero: ho indicato il rilancio della ricerca scientifica tra le tre priorità assolute del mio programma. Ho attivato l’agenzia che unifica la ricerca universitaria e quella medico-clinica. Gli stanziamenti per la ricerca sono aumentati del 10 per cento. Ho finalizzato la ricerca di base perché trasferisca le sue scoperte direttamente al letto del paziente; perché la ricerca ha come fine primario il benessere dell’uomo».

Sì, ma il problema sono i limiti imposti dal ministero dell’Agricoltura.

«Non voglio scendere in polemica con altri componenti del governo, neppure con coloro che non hanno i miei stessi punti di vista. Il mio pensiero è che ogni bavaglio, ogni intralcio, ogni vincolo immotivato posto alla libertà della ricerca scientifica è un passo indietro sulla via della conoscenza e del miglioramento della qualità della vita umana e della società. Questo vale per le biotecnologie come per la ricerca sulle cellule staminali. Purtroppo c’è un mondo che si schiera ideologicamente contro il progresso della scienza».

La polemica degli scienziati italiani riguarda in particolare le biotecnologie. Rischiamo di restare indietro rispetto al resto del mondo, è l’argomento. E’ d’accordo?

«Sì. Sono favorevole alle biotecnologie; chi le osteggia combatte una crociata antistorica. Tutte le scoperte scientifiche sono costellate da reazioni violente, paure collettive, timori del nuovo. Come ministro della Sanità, devo accertare che non ci sia pericolo per la salute pubblica; se sono certo di questo, non ho problemi. Oltretutto noi siamo esseri modificati geneticamente nel corso dei secoli. Un conto, poi, è bloccare la commercializzazione degli organismi geneticamente modificati, un altro è intralciare la sperimentazione e la ricerca. Senza ricerca e senza sperimentazione non sapremo mai se gli ogm fanno bene o fanno male. E poi rischiamo di essere scavalcati dalla realtà. Oltre 260 milioni di americani mangiano la soia transgenica da anni; ed è noto quanto siano rigorosi i controlli della Food&Drug Administration. Grazie agli alimenti transgenici i cinesi stanno debellando lo spettro delle carestie. Sono possibilità che non possiamo lasciar cadere».

(8 febbraio 2001)

(articoli raccolti da DAVIDE FASOLO)