DARWIN SETEMBRE OTTOBRE 2006 

BIOLOGIA E ARTE

Perchè, fin dai tempi delle caverne, l'umanità sente il bisogno di 
dedicare tante del­le sue energie alla creazione di opere d'arte? Che 
cos'è che rende i disegni o le musiche piacevoli, desiderabili e in 
definitiva irrinunciabili per la nostra psiche? Le risposte tentate 
nei secoli sono state tante, ma di rado convincenti, perché quasi 
sempre ricercate senza considerare l'organo con cui l'arte viene 
ideata e goduta, cioè il cervello. Questa almeno è la posizione del 
neurobiologo Semir Zeki, e di chi come lui si è messo a cercare le 
risposte al mistero dell'arte nei meandri della nostra biologia, nei 
circuiti cerebrali della percezione e della gratificazione, dando vita 
alla disciplina nascente della neuroestetica. L'impresa, come 
raccontano Giovanni Sabato per le arti visive e Luisa Lopez per la 
musica, non è facile. Per giungere a spiegazioni non banali, che 
possano dirsi scientifiche, bisogna per prima cosa individuare le 
regole generali dell'estetica che soggiacciono all'enorme variabilità 
di stili e di gusti, e che a volte - come accade per la preferenza per 
certi intervalli musicali - trascendono anche le barriere di specie. Ma 
enunciare i principi estetici non basta: bisogna anche studiare i 
meccanismi neuro­logici che ne sono alla base e la logica evolutiva che 
li sottende. Pur essendo ancora lontani da spiegazioni esaurienti, i 
primi tentativi in questo senso appaiono stimolanti e fecondi. E 
smentiscono, intanto, il timore avanzato da tanti artisti e storici che 
un'interpretazione «riduzionista» dell'arte possa sminuirne il valore, 
perché la comprensione dell'armamentario di principi percettivi con cui 
l'artista gioca per produrre il piacere e l'emozione non toglie nulla 
né al suo talento, nell'impiegarli con estro e originalità, né al valore 
delle emozioni che sa suscitare.
Quanto al lato evoluzionistico, come ci ricorda Gabriele Fedrigo, lo 
stesso Darwin sottolineava come il senso della bellezza «dipende dalla 
natura della nostra mente, indipendentemente dalle qualità realmente 
possedute dall'oggetto di ammirazione» e le sue basi biologiche devono 
quindi essere ricercate nella storia evolutiva delle specie. Ironizzando 
sull'arroganza di chi sosteneva che le bellezze della natura fossero 
state confezionate appositamente per il piacere dell'uomo, Darwin ne 
vedeva invece la spiegazione nei meccanismi selettivi a cui tutti gli 
organismi sono soggetti, e in particolare in quelli della selezione 
sessuale: alcuni caratteri, pur di per sé non vantaggiosi per la 
soprawivenza, sarebbero divenuti decisivi per essere scelti quali 
partner per l'accoppiamento, e di qui si sarebbero sviluppati in 
parallelo la bellezza di forme, colori e suoni della natura e le 
capacità estetiche dei cervelli che a tali stimoli dovevano attribuire 
un valore.
Un altro punto di vista sui delicati intrecci fra biologia e arte viene da 
Sandro Modeo, che analizza in chiave biologica ed evolutiva alcuni classici 
della letteratura. Questa prospettiva, in Italia spesso bollata come 
rozza e materialistica, riscuote invece interesse in altri paesi. Così 
c'è chi riconduce le pulsioni profonde dell'Iliade, come la competizione 
socioeconomica e sessuale, a dinamiche da «scimmia nuda»; e c'è chi 
coglie nel suo lessico riferimenti fisiologici che solo poi assumeranno 
un valore spiritualistico, come psyche che non indica ancora l'anima o 
la mente bensì il sangue o il respiro. L'Amleto è un vero trattato sul 
versante organico della depressione e lo Zibaldone precorre l'odierna 
sociobiologia vedendo la compassione come «il più raffinato egoismo». 
D'altronde, lo stesso Zola proclamava la necessità che lo scrittore 
conosca le acquisizioni scientifiche del proprio tempo, soprattutto nel 
campo della biologia, pena un anacronismo del proprio lavoro simile a 
quello di chi si ostini a essere tolemaico dopo Copernico.