La Fabbrica della Salute

di Maurizio De Filippis [ * ]


"Giacchè è detestata dal Dio previdente
una intempestiva crescenza".
F. Hölderlin, Dal ciclo dei "Titani" (IV,218).

Nel corso del XX secolo "la medicina ha vissuto profondi cambiamenti, passando da una pratica totalmente basata sull’anamnesi e sull’esame obiettivo del paziente ad un uso sempre maggiore della tecnologia, ed in particolare delle analisi di laboratorio" (1). Grazie allo sviluppo della ricerca scientifica sono oggi disponibili tests diagnostici sempre più accurati in grado di supportare efficacemente i nuovi indirizzi terapeutici della pratica medica (2). La tendenza della medicina moderna a promuovere la "salute" attraverso cure e comportamenti finalizzati al miglioramento e al mantenimento del benessere fisico e psichico del paziente, trova nelle discipline laboratoristiche e nella utilizzazione dei dati diagnostici un momento fondamentale di sintesi: "In definitiva, oggi più che mai, il clinico ha la assoluta necessità di utilizzare lo specialista di laboratorio come consulente e garante della qualità del risultato analitico, e della trasferibilità nella pratica quotidiana dei valori e dei traguardi terapeutici" raggiunti nel corso del processo diagnostico (3).

Per comprendere le ragioni dello sviluppo e della crescita cui è andata incontro la Medicina di Laboratorio nel secolo appena trascorso occorre però risalire alla fine dell’Ottocento. I progressi verificatisi in quel periodo nel campo delle scienze mediche e delle tecniche diagnostiche produssero, infatti, una svolta epocale nella percezione del rapporto salute-malattia contribuendo a modificare la relazione tra medico-paziente e quella tra medicina e società. All’interno dei gabinetti d’analisi ottocenteschi vennero effettuate alcune tra le più importanti scoperte scientifiche in campo biomedico: "Nei laboratori, particolarmente in quelli tedeschi e francesi, sono nate la fisiologia moderna, la patologia cellulare, la batteriologia e l’immunologia, la biochimica, la farmacologia sperimentale, per limitarci a menzionare le principali tappe acquisite allo scadere del XIX secolo" (4).

L’impiego sistematico delle innovazioni metodologiche provenienti da discipline come la fisica e la chimica trasformarono, nel corso di alcuni decenni, gli indirizzi empirici della pratica laboratoristica, permettendo un potenziamento degli strumenti di indagine e un affinamento della ricerca sperimentale. Gi studi scientifici condotti da Louis Pasteur (1822-1895) e Robert Koch (1842-1910), dimostrarono che le malattie infettive erano causate da microrganismi: "La scoperta indusse subito ad allargare le indagini in tutte le direzioni e nel giro di un trentennio si individuarono i microrganismi responsabili della malaria, della tubercolosi, del colera, della peste, della sifilide" (5). Con l’identificazione degli agenti eziologici gran parte delle malattie infettive perdettero gradualmente quell’impenetrabile alone di mistero che le aveva accompagnate nel corso dei secoli precedenti: "Non di tutte le infezioni si scoprì subito la causa; in particolare si dovette rimandare al Novecento la scoperta dei virus, organismi così piccoli da sfuggire al microscopio ottico e capaci di attraversare i filtri batteriologici" (6).

Tra Otto e Novecento le scienze mediche si giovarono enormemente delle profonde trasformazioni istituzionali avvenute in ambito ospedaliero. Il progressivo processo di pubblicizzazione dei nosocomi e il tentativo di dar vita ad un moderno sistema sanitario si saldarono con l’esigenza di fornire agli ammalati un’assistenza più consona ai propositi di tutela della salute pubblica emersi nella seconda metà del XIX secolo: Così nacquero gli ospedali moderni, dove non si dà più riparo ai miserabili, reietti della società, ma si curano i malati, per restituirli sani e produttivi alla società stessa" (7).

Se gli ospedali, gradualmente, si tramutarono da luoghi di cura indifferenziati a "machines à guérir", parenti prossimi delle "odierne istituzioni tecnologicamente avanzate" (8), l’integrazione del laboratorio sperimentale all’interno della struttura ospedaliera costituì un processo storico di lunga durata: "Mentre i primi ospedali clinicizzati - strutturati prevalentemente come luoghi di studio scientifico delle malattie - datano sin dai primissimi anni dell’Ottocento, i laboratori non vi sono stati integrati che negli ultimi decenni del secolo" (9). Per molto tempo il laboratorio d’analisi, pur essendo direttamente collegato alle istituzioni universitarie, continuò a conservare l’aspetto di una struttura esterna rispetto alle necessità organizzative della realtà nosocomiale; un luogo in cui le esigenze diagnostiche di routine e quelle di ricerca sperimentale e scientifica convivevano separate dal corpo dell’istituzione ospedaliera. Dai pionieristici gabinetti d’analisi e sperimentazione cominciarono a distinguersi, verso la fine dell’Ottocento, i laboratori clinici nati con lo scopo principale di "utilizzare le conoscenze acquisite sui principali processi biologici e patologici per sviluppare nuove metodiche diagnostiche e terapeutiche e, in secondo luogo… fornire ai medici un servizio diagnostico" (10). I primi laboratori, pur caratterizzati da dimensioni modeste e attrezzature semplici, sorsero a Monaco nel 1885 e negli Stati Uniti tra il 1893 e il 1895: "L’evoluzione del laboratorio durante l’Ottocento può essere vista come una catena di collegamenti che parte dal laboratorio dedicato alla ricerca di base; continua con il laboratorio clinico, che ripartisce i suoi sforzi fra la ricerca e la cura dei pazienti, e finisce con il laboratorio ospedaliero, il luogo di lavoro più vicino al paziente, nel quale le conoscenze e i metodi perfezionati negli altri laboratori ricevevano un’applicazione pratica" (11). Garantire nello stesso tempo un’adeguata ospedalizzazione e una efficiente produttività diagnostico-terapeutica non era però una cosa semplice: "Assicurare i finanziamenti agli ospedali, potenziarne le risorse, rinnovarne le strutture, ammodernarne le apparecchiature", costituivano problemi di difficile risoluzione che avrebbero accompagnato lo sviluppo e l’evoluzione delle istituzioni nosocomiali sino ai nostri giorni (12). Ai problemi organizzativi e alle difficoltà burocratiche si cumulavano i ritardi diagnostici e terapeutici legati alle imperfette conoscenze scientifiche e biomediche del tempo. Basti pensare, ad esempio, alla drammatica casistica redatta da Harvey Cushing (1896- 1939), medico di Baltimora:"Egli verificò, mediante autopsia, che nel decennio 1891-1900 erano affluiti al prestigioso istituto Johns Hopkins alcune centinaia di pazienti con tumore al cervello; di questi, solo trentadue furono diagnosticati correttamente a paziente ancora vivo. In due soli casi si tentò un intervento, ma con esito letale. La capacità di curare, infatti, era all’epoca ancora minore della capacità di fare diagnosi" (13). Se gli ospedali non possedevano che rudimentali laboratori d’analisi, i medici non avevano ancora a disposizione efficienti mezzi diagnostici per monitorare il decorso delle malattie.

A partire dai primi anni del Novecento, la clinica e le scienze mediche si trasformarono rapidamente avvalendosi dei progressi "dell’asepsi, dell’anestesia, della batteriologia, degli inizi della radiologia e della diagnostica di laboratorio, all’interno della formazione di una compiuta medicina ospedaliera" (14). Innovazioni destinate a mutare per sempre "la concezione stessa della malattia, vista come entità contrapposta alla salute e da combattere in se stessa, nelle sue cause ormai identificabili" (15). Per effettuare una diagnosi di tubercolosi polmonare, malattia infettiva tra le più contagiose, si preferiva, ad esempio, sostituire alla lunga auscultazione del torace del paziente "un esame microscopico dell’espettorato e una radiografia" ben eseguita in grado di evidenziare rispettivamente il bacillo e la presenza di lesioni polmonari (16).

Alla rivoluzione batteriologica ottocentesca subentrò, nella seconda metà del Novecento, la rivoluzione terapeutica veicolata dagli antibiotici. L’impatto di questi ultimi sulla medicina e sulla società fu enorme: "la polmonite, la meningite, l’endocardite, la setticemia, la blenoraggia, la sifilide diventano di colpo malattie guaribili con relativa facilità. Mentre la penicillina e la streptomicina danno il definitivo colpo di grazia al problema biologico e sociale di sifilide e tubercolosi" che, con la malaria, costituivano le patologie più diffuse in Italia (17). Con l’introduzione delle nuove terapie farmacologiche vennero risolti alcuni dei gravi "problemi epidemiologici, biologici, medici e, mediamente, sociali che avevano assillato il nostro paese per secoli. Era dunque legittimo confidare che in medicina il culto della scienza per la scienza avrebbe comunque risolto i problemi sanitari della società contemporanea" (18).

Nei decenni centrali del Novecento il declino delle principali forme infettive venne compensato dalla crescita costante delle patologie metabolico-degenerative: se le prime costituivano, grazie ai progressi della medicina, un ricordo del passato, altre malattie come l’arteriosclerosi e il cancro "nelle sue molte forme", potevano considerarsi "nella sensibilità collettiva, oltrechè nella viva realtà, le malattie del presente" (19). Con il mutare delle variabili epidemiologiche variavano anche i parametri anamnestici utilizzati per prescrivere le cure ai pazienti: la diagnosi, affidata tradizionalmente all’ "occhio clinico" del medico, era supportata ora dalla richiesta sistematica di esami radiologici e di laboratorio. Rispetto al passato si prestava maggior attenzione ai potenziali fattori di rischio del paziente, ai suoi "comportamenti, agli stili di vita, ai condizionamenti ambientali e socioeconomici non meno che ai fattori genetici, costituzionali, biologici, biomolecolari" (20).

La scoperta, nella prima metà degli anni cinquanta, della struttura a doppia elica e "l’individuazione delle caratteristiche chimico-strutturali del Dna" ad opera di James Watson e Francis Crick, consentirono di decifrare, per la prima volta, le "grammatiche del vivente", ponendo le basi per la futura evoluzione della biologia molecolare (21). Accanto ai rapidi progressi di quest’ultima, le nuove tecniche di rianimazione, "gli avanzamenti della farmacologia, e l’avvento della medicina dei trapianti sembravano rendere concreta, nel corso degli anni sessanta, la prospettiva di un controllo della vita, della morte e delle malattie da parte della medicina scientifica" (22). L’utilizzo delle biotecnologie consentì il raggiungimento di preziosi risultati terapeutici: "nuovi farmaci sono messi a disposizione, nuove nuovissime terapie geniche sono praticate con successo in pazienti affetti da malattie genetiche. Si progetta e intraprende la mappatura del genoma" (23). Le promesse e le prospettive di un continuo miglioramento del benessere fisico ottenuto grazie alle virtù conoscitive delle scienze biomediche vennero percepite però, da una parte dell’opinione pubblica, come "delle potenziali minacce per la libertà e la dignità dell’uomo", divenendo oggetto di riflessione da parte della Bioetica (24).

A partire dalla prima metà degli anni ottanta, le scienze mediche si trovarono di fronte ad un evento terribile e inatteso: la comparsa dell’AIDS (Acquired Immuno-Deficiency Sydrome). Tale patologia "fa la sua comparsa proprio in una fase storica che si pensava inaugurasse l’era del definitivo trionfo medico-sanitario. La nuova malattia viene a sconvolgere un sistema che si credeva ordinato e consolidato: in quanto infettiva , la malattia appare anacronistica; in quanto imprevista, appare elusiva della predittiva conoscenza scientifica; in quanto incontrollabile… appare eversiva del sapere-potere della scienza medica" (25). In questi ultimi anni la lotta contro l’HIV ha fatto registrare numerosi progressi dal punto di vista clinico rallentando, grazie all’impiego di nuovi protocolli terapeutici mutuati dalle ricerche di biologia molecolare effettuate nei laboratori sperimentali e all’introduzione dei farmaci antiretrovirali, il decorso della malattia classificata ormai, almeno nel mondo occidentale, tra le patologie croniche ad esito infausto.

Accanto all’AIDS molte altre forme di contagio, vecchie e nuove, sono oggi in rapida espansione: tra tutte vanno ricordate la tubercolosi, patologia secolare spesso presente nei soggetti sieropositivi, e la SARS, prima epidemia del nuovo Millennio.

(19 gennaio 2004)

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Note

(1) M. Plebani, È possibile tracciare la rotta del cambiamento nel laboratorio clinico?, in "Biochimica clinica", XXV, 2001, n. 5, p. 425. Sulla storia della diagnostica di laboratorio cfr. G. Carugo, Breve Storia della Medicina, della Diagnostica e delle Arti Sanitarie, Milano, Roche Diagnostics, 2003.

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(2) G. Cosmacini, Laboratorio, gabinetto d’analisi, in Dizionario di storia della salute, a cura di G. Cosmacini, G. Gaudenzi, R. Satolli, Torino, Einaudi, 1996, p. 322.

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(3) M. Plebani, È possibile tracciare la rotta del cambiamento…, cit., p. 430.

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(4) R. Carriero, Il Laboratorio: immagine del corpo e luogo dell’ospedale, in Gli ospedali in area padana fra Settecento e Novecento, a cura di M. L. Betri, E. Bressan, Milano, FrancoAngeli, 1992, p. 163.

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(5) S. Bajini, Ottocento, in Dizionario di storia della salute, cit., p. 440.

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(6) Ibidem.

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(7) R. Carriero, Il Laboratorio: immagine del corpo e luogo dell’ospedale, cit., p. 125.

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(8) G. Cosmacini, Tipologia dell’evoluzione dell’ospedale in Italia nel XIX e XX secolo, in E. Marelli, Un Santo, un Re, una Città. Storia dell’Ospedale di Monza, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 3.

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(9) R. Carriero, Il Laboratorio: immagine del corpo…, cit., p. 126.

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(10) J. S. Reiser, La medicina e il regno della tecnologia, Milano, 1983, p. 187.

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(11) Ibidem. p. 188.

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(12) G. Cosmacini, La "questione ospedaliera"tra le due guerre mondiali. Gestazione e nascita del nuovo Ospedale Maggiore di Milano, in Gli ospedali in area padana tra Settecento e Novecento, cit., p. 206.

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(13) M. Obbiassi, Novecento, in Dizionario di storia della salute, cit., p. 404.

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(14) E. Bressan, Ospedale e società fra Settecento e Ottocento, in Il Bene e il Bello. I luoghi della cura_cinquemila anni di storia, Milano, Electa, 2000, p. 101.

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(15) Ibidem.

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(16) G. Cosmacini, Scienza e umanità nella medicina del Novecento, in Il Bene e il Bello…, cit., p. 103.

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(17) E. Marelli, Un Santo, un Re, una Città. Storia dell’Ospedale di Monza, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 237.

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(18) G. Cosmacini, Scienza e umanità nella medicina del Novecento, cit., p. 104.

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(19) Id., Storia della medicina e della sanità nell’Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1994,p. 45. Sul cancro e le patologie metabolico-degenerative cfr . G. Ceccarelli, Saggio di storia dei tumori, Roma, Ed.Delfino, 1986; G. Cosmacini, V. A. Sironi, Il Male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari, Laterza, 2002.

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(20) G. Cosmacini, Scienza e umanità nella medicina del Novecento, cit., p. 104.

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(21) G. Corbellini, Le grammatiche del vivente. Storia della biologia molecolare, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 73. Per una ricostruzione storica della scoperta della struttura del Dna cfr. H. F. Judson, L’ottavo giorno della creazione, Roma, Editori Riuniti, 1986; F. H. C. Crick, La folle caccia. La vera storia della scoperta del codice genetico, Milano, Rizzoli,1990.

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(22) G. Corbellini, Le grammatiche del vivente…, cit., p. 180.

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(23) G. Cosmacini, Scienza e umanità nella medicina del Novecento, cit., p. 105.

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(24) G. Corbellini, Le grammatiche del vivente…, cit., p. 180. Sui delicati rapporti tra Medicina e Bioetica cfr. L.R. Angeletti, Storia della Medicina e della Bioetica, Milano, Etasa Libri RCS,1992.

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(25) G. Cosmacini, Scienza e umanità nella medicina del Novecento, cit., p. 106. Per una rassegna storica degli strumenti utilizzati nel Laboratorio Analisi cfr. G. Dall’Olio, R. Dorizzi,, P. Telesforo, Apparecchiature del Laboratorio Clinico dalle origini al 1950, Edizioni Dite, 1996.

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[*] Maurizio De Filippis è ricercatore presso l'Azienda Ospedaliera-Polo Universitario "Luigi Sacco" di Milano.

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