ESTATI CHE SCOTTANO: IL DIFFICILE CASO DEL RISCALDAMENTO GLOBALE TRA PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E STRATEGIA “NO-REGRETS”1


Luciano Butti

Avvocato
Docente di diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova
(Facoltà di Ingegneria – Corso di laurea di Ingegneria ambientale)
www.buttiandpartners.com


Questo testo è un paragrafo del libro Principio di precauzione e ambiente. Come difendersi senza farsi troppo male, che uscirà tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006. Nel sito della Fondazione Bassetti, è raggiungibile dall'articolo della sezione "Argomenti" intitolato "A favore del Principio di precauzione per far fronte ai possibili rischi del Riscaldamento globale"
(16 settembre 2005)


Chi non ha almeno sentito parlare di “effetto serra”, di “gas serra” e di riscaldamento globale” (“global warming”)?


La circostanza che – negli ultimi 100 anni – la temperatura media sia in qualche misura aumentata è ormai oggetto di insegnamento fin dagli anni dell’istruzione primaria. Meno frequentemente viene detto ai nostri ragazzi (forse per non complicare ulteriormente un quadro informativo già non semplice) che anche in altre epoche il nostro Pianeta ha conosciuto stagioni “calde”, alternate ad altre più fredde2. Ciò tuttavia – come è noto – non significa necessariamente che i gas serra emessi dalle attività umane3 siano esenti da responsabilità: gli studi geologici - specialmente quelli sulla composizione dei ghiacci e dei sedimenti marini – hanno infatti dimostrato che, in tutte le epoche durante le quali la temperatura sulla terra è aumentata, è contemporaneamente cresciuta anche la concentrazione dei gas serra. E’ perciò molto probabile che i due fenomeni – aumento della temperatura (anche quando non derivante da attività umane)4 e accresciuta concentrazione dei gas serra – si possano influenzare reciprocamente, in un circolo vizioso.


Se quelle sopra riferite sono (quasi) “notizie”, sulle quali perciò il consenso è (pressoché) unanime – le tesi sono assai diverse, anche all’interno della comunità scientifica, in merito:


Come spesso accade nel settore ambientale, sul problema in esame – che non è emerso soltanto negli ultimi anni5 - si scontrano una tesi “pessimista” ed una “ottimista”.


Secondo i pessimisti, i quali hanno trovato importante sostegno nelle conclusioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change)6:


Gli ottimisti7 generalmente non contestano che – negli ultimi 100 anni – si sia (probabilmente) verificato un significativo riscaldamento della superficie del pianeta. Ma sono assai più cauti dei pessimisti in merito:


Purtroppo, nessuno sa con certezza chi possa avere ragione. Tuttavia, non vorrei proseguire senza proporre un quadro riassuntivo della situazione, pur nella consapevolezza dell’arbitrarietà, per un problema tanto complesso, di qualsiasi presentazione sintetica. Fra tutte le recenti esposizioni – in forma e linguaggio accessibili – dei temi connessi al riscaldamento globale, una delle più semplici ed equilibrate mi sembra quella di Robert Erlich, un fisico della George Mason University noto per la sua capacità di spiegare al grande pubblico i dettagli di problemi scientifici complessi, illustrando altresì i meccanismi (ed i possibili errori) del ragionamento scientifico. Le conclusioni cui questo Autore giunge10 sono le seguenti:

a) Quasi certamente negli ultimi decenni un certo ammontare di “global warming” si è verificato. La certezza però non è assoluta, e questa conclusione potrebbe essere rovesciata qualora nei prossimi dieci anni le rilevazioni satellitari della temperatura continuassero a mostrare un modestissimo riscaldamento.

b) Probabilmente il riscaldamento verificatosi negli ultimi decenni è dovuto all’uomo.

c) Probabilmente nel 2100 l’ulteriore riscaldamento sarà di circa 3 gradi, dunque nella metà inferiore dell’ambito di ipotesi formulato da IPPC11, ma i modelli matematici oggi disponibili non ci consentono di escludere il rischio di un aumento maggiore.

d) Se l’aumento ulteriore della temperatura sarà modesto, è più probabile che nel complesso esso sia (pur con rilevanti differenze da zona a zona) favorevole per l’uomo. Se invece l’aumento sarà consistente (nella metà superiore dell’ambito di ipotesi formulato da IPPC) esso non dovrebbe essere particolarmente negativo per la maggior parte delle nazioni sviluppate, ma comporterà problemi e danni anche assai gravi per molte nazioni in via di sviluppo e per le popolazioni che le abitano12: con la conseguenza (sulla quale torneremo fra breve) che le misure di cautela avrebbero effetti distributivi positivi (favorendo i più deboli).


Cerchiamo ora di valutare:


Quanto al primo quesito, sappiamo che, secondo la Comunicazione 2 febbraio 2000 della Commissione, l’applicazione del Principio di precauzione richieda sempre la presenza di un rischio (incerto, ma) individuato, vale a dire “una preliminare valutazione scientifica obiettiva”, la quale indichi che “ vi sono ragionevoli motivi di temere ….”. Orbene, nel caso del riscaldamento globale il rischio è (discusso all’interno della comunità scientifica quanto a probabilità e dimensioni, ma) chiaramente individuato e potenzialmente grave: vi è perciò un preciso fondamento giuridico per invocare l’applicazione del Principio di precauzione13. E l’omessa considerazione del problema dei gas serra nell’ottica del Principio di precauzione potrebbe dar luogo anche a responsabilità legali e risarcitorie14.


Assai più complessa è la risposta al secondo quesito, concernente l’individuazione delle misure di cautela appropriate, alla luce del Principio di precauzione, doverosamente considerato nella sua versione “attiva”. Da questo punto di vista, abbiamo il dovere di individuare misure di cautela:

Come è noto, la Comunità internazionale (o, più precisamente, parte di essa, non solo per l’opposizione degli U.S.A., ma anche per il mancato diretto coinvolgimento, sino ad oggi, di grandi Paesi come Cina ed India) ha programmato una serie di interventi nell’ambito del Protocollo di Kioto17. E l’Unione Europea è in prima fila nell’attuazione di esso, principalmente attraverso un sistema di scambio di quote di emissione (Direttiva 2003/87/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 sullo scambio di quote di emissione)18.

L’obiettivo di questi interventi è ovviamente il contenimento delle emissioni di gas serra.

E tuttavia, dal punto di vista del Principio di precauzione, i due aspetti fondamentali consistono:


Quanto al primo aspetto, appare di eccezionale rilievo la recente iniziativa del Governo del Regno Unito, che ha avviato un programma scientifico ad altissimo livello mirante proprio a determinare quale sia il livello di riscaldamento atmosferico effettivamente “pericoloso”: nella convinzione che – se il programma avrà successo – le iniziative di contenimento miranti a scongiurare il superamento di tale livello appariranno a tutti “proporzionate” e potranno perciò guadagnare il sostegno anche dei Paesi (come U.S.A., Cina ed India) sino ad oggi non coinvolti dal Protocollo di Kyoto21.


Quanto al secondo aspetto, si va facendo strada nell’ambito degli studiosi più attenti22 un esplicito favore verso la cd. strategia “no-regrets” (“senza rimpianti”), la quale privilegia l’adozione di misure comunque opportune, indipendentemente dalla loro efficacia per la riduzione dei gas serra. In questa prospettiva:

a) nei Paesi Occidentali il settore più importante di azione appare quello della circolazione veicolare23, per le seguenti ragioni:

b) più in generale, attenzione va prestata anche alle misure di contenimento del metano (controllo dei gasdotti, recupero energetico del biogas delle discariche, interventi su alcune pratiche agricole e sugli allevamenti intensivi), spesso tali da produrre cambiamenti positivi in tempi più ravvicinati di quelli necessari per ridurre le emissioni di anidride carbonica26;

c) per l’anidride carbonica, occorre essere consapevoli che – nei tempi medi e lunghi - la soluzione radicale del problema non passa per lo sviluppo di ulteriori tecniche di contenimento delle emissioni negli impianti tradizionali, quanto invece per l’individuazione di nuove strategie energetiche, che consentano una graduale diminuzione della dipendenza della nostra economia dai combustibili fossili.


In una direzione compatibile con la menzionata strategia, possono indicarsi gli sforzi tesi a:


Le indicazioni operative sopra sinteticamente riferite – ed in particolare la strategia “no-regrets” – appaiono perfettamente in linea con la necessaria applicazione del Principio di precauzione, nella sua versione “attiva” cui abbiamo fatto più volte riferimento.


Un’ultima precisazione – non tuttavia di scarsa importanza – si impone. Come abbiamo sopra accennato in questo paragrafo, e come gli studiosi più attenti non hanno mancato di sottolineare29, azioni di cautela anche aggressive per combattere l’effetto serra avvantaggeranno maggiormente le nazioni più povere: diversamente da quanto avviene in altri settori30, dove l’effetto distributivo del Principio di precauzione opera in senso del tutto contrario. Anche per questa ragione, l’area della lotta al riscaldamento globale è fra quelle nelle quali l’applicazione intelligente e coraggiosa del Principio di precauzione è maggiormente raccomandabile.


N O T E

1 Questo scritto costituisce un paragrafo di un volume di Luciano Butti, in corso di pubblicazione, dal titolo:

“PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E AMBIENTE”

2 Per un avvincente e documentato racconto della “storia del clima” dall’anno Mille al ventesimo secolo, v. LE ROY LADURIE Emmanuel, Histoire du climat depuis l’an mil, 1967 (traduzione italiana: Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno mille, Einaudi, 1982).

3 I principali “gas e effetto serra” prodotti dalle attività antropiche sono l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4). Altro gas serra “naturale” è il vapore acqueo: va infatti tenuto presente che – a livelli normali – l’effetto serra è indispensabile alla vita. Senza di esso, la temperatura media sulla terra sarebbe vicina ai 20 gradi sotto zero. Cfr., per una semplice introduzione ai problemi dell’effetto serra, LAMBERT, Gerard, La Terre chauffe-t-elle? Le climat de la Terre en question, 2001 (traduzione italiana: La febbre del pianeta, Dedalo, 2002).

4 Per esempio un’ulteriore causa dell’aumento della temperatura potrebbe risiedere nella variazione in aumento del “tasso di esposizione” della superficie terrestre al sole.

5 Per una efficace “storia” dell’emersione del clima come problema ambientale v. NESPOR Stefano e DE CESARIS Ada Lucia, Le lunghe estati calde. Il cambiamento climatico e il protocollo di Kyoto, Gedit, 2003, specialmente pp. 19 e ss.

6 Si tratta di un’organizzazione costituita in ambito ONU nel 1988 e formata da circa 2000 studiosi, allo scopo di studiare il cambiamento climatico. Dopo due rapporti (del 1990 e del 1995) problematici, il terzo rapporto pubblicato nel 2001 ha decisamente sposato le tesi pessimistiche. I testi dei rapporti sono disponibili in www.ipcc.ch/pub/online.htm.

7 V. per esempio: VICTOR, David G., The Collapse of the Kioto Protocol and the Struggle to Slow Global Warming, Princeton University Press, 2001; GOKLANY, Indur M., The Precautionary Principle. A Critical Appraisal of Environmental Risk Assessment, The Cato Institute, 2001; LOMBORG, Bjorn, The Skeptical Environmentalist. Measuring the Real State of the World, Cambridge University Press, 2001.

8 E’ constatazione comune e non contestabile che alcune pessimistiche o addirittura catastrofiche previsioni di alcuni decenni addietro sul riscaldamento globale non si sono per fortuna avverate. Si veda sul punto la letteratura citata alla nota che precede.

9 In una certa misura, un riscaldamento del pianeta potrebbe essere positivo. Non si tratta solo di buon senso (“warm is good and cold is bad”), ma del frutto di ragionamenti scientifici (cfr. sul punto www.greeningearthsociety.org: il sito della Greening Earth Society).

10 ERLICH, Robert, Eight Preposterous Prepositions, Princeton University Press, 2003, pp. 182 e 183. Il tema del riscaldamento globale è analizzato in dettaglio nel volume di Erlich, alle pp. 138-187.

11 Le più recenti previsioni IPCC per il 2100 variano da un aumento minimo compreso fra uno e due gradi ad un aumento massimo compreso fra cinque e sei gradi.

12 Le ragioni di ciò sono varie: le nazioni ricche sono meglio in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici; le nazioni povere dipendono largamente dalla propria agricoltura, assai vulnerabile al cambiamento climatico; alcune nazioni povere e poverissime risentirebbero pesantemente, per ragioni di collocazione geografica, di un sensibile innalzamento degli Oceani.

13 In una prospettiva originale e meritevole di attenzione, MASCIA Matteo, MORANDINI Simone, NAVARRA Antonio e PROIETTI Gianmarco, Termometro Terra, Editirice Missionaria Italiana, 2004, sottolineano anche (particolarmente alle pp. 55 ss.) gli aspetti etici del problema del mutamento climatico.

14 ALLEN Myles R. e LORD Richard, The blame game. Who will pay for the damaging consequences of climate change?, in Nature, 2 December 2004, n. 432, riferiscono di un’azione legale intentata nel 2004 da alcuni Stati americani contro cinque centrali energetiche per la loro insufficiente azione rivolta al contenimento dei gas serra.

15 Quasi tutte le analisi “pessimiste” sull’effetto serra, invece, commettono a mio avviso l’errore di dimenticare questa problematica. E’ evidente infatti che, in astratto – di fronte ad un rischio incerto ma possibile – sarebbe meglio agire per evitarlo: come quando – in presenza di livelli elevati di colesterolo – saggiamente modifichiamo la nostra dieta pur senza sapere con certezza se e quando (in assenza di cambiamenti) effettivamente ci ammaleremmo. Nel caso dell’effetto serra, però, i costi delle misure volte alla riduzione dei gas sono assai elevati. Ciò non significa che – secondo il punto di vista dei critici – sia comunque meglio risparmiare denaro piuttosto che subire le possibili consegue dell’effetto serra. Il problema è un altro ed è assai impegnativo: quali altre e diverse politiche (lotta alla fame, alla povertà e alle malattie, sviluppo della risorsa idrica nel mondo, ecc.) sarebbero astrattamente possibili con le stesse risorse necessarie per contenere i gas serra? Quale impiego di queste risorse è il più efficiente? Come si può vedere, si tratta di domande “epocali”, per rispondere adeguatamente alle quali non è sufficiente qualche battuta polemica, anche se animata da buone intenzioni.

16 Sulle necessarie strategie di adattamento opportunamente insiste anche l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA, (European Environment Agency), Impacts of Europe’s changing climate. An indicator-based assessment, 2004, pp. 79 ss.. Cfr. sul punto anche PINCHERA, Andrea, Ci salveremo dal riscaldamento globale?, Laterza, 2004, pp. 170 ss.

17 V. per tutti, sull’argomento, NESPOR e DE CESARIS, opera citata.

18 Sul quale si veda un’approfondita analisi in POZZO, Barbara (a cura di), La nuova direttiva sullo scambio di quote di emissione. La prima attuazione europea dei meccanismi previsti dal Protocollo di Kioto, Giuffré, 2004. Sulla strategia europea verso i gas serra v. anche, sinteticamente ma efficacemente, RIVM, (Netherlands Institute for Public Health and the Environment), Outstanding Environmental Issues, September 2004, pp. 9 ss. Gli scambi di quote di emissione non coinvolgono soltanto l’industria: cfr. HOPKIN, Michael, The carbon game, in Nature, 18 November 2004, n. 432, per l’esame di un singolare caso nel quale un gruppo industriale che gestisce impianti energetici in Giappone e Canada ha acquistato una quota di diritti di emissione di CO2 pagando la tecnologia necessaria per raccogliere le emissioni di metano (un altro gas serra) provenienti da un allevamento intensivo di suini situato in Cile, così da utilizzarle per produrre energia.

19 Che potrebbero anche consistere in fenomeni climatici improvvisi e irreversibili. Sul rischio del cd. “Runaway Greenhouse Effect”, v. – con accenti leggermente differenti ma nella sostanza non lontani (il rischio teoricamente esiste, ma allo stato delle conoscenze è improbabile) - ERLICH, opera citata, pp. 186-187 e PINCHERA, opera citata, pp. 108 e ss..

20 Alla luce della precisa indicazione contenuta nella Comunicazione del febbraio 2000 della Commissione europea.

21 Cfr., per ampie informazioni, www.stabilisation2005.com.

22 V. ad esempio, in Italia, CLINI, Corrado, Una sfida solitaria è da evitare, in Il Sole-24 Ore – Dossier Ambiente Energia, 13 luglio 2004 e GERELLI, Emilio, E’ giusto sottrarre risorse ad altri usi?, in Il Sole-24 Ore – Dossier Ambiente Energia, 13 luglio 2004. A livello internazionale, ERLICH, opera citata, pp. 183 e ss., con la opportuna precisazione che “the matter does call for watchful waiting. It could warrant urgent attention in the coming decades if the trends in temperatures were to lie in the upper half of the IPCC projections”.

23 Purtroppo invece escluso dall’ambito del mercato delle emissioni di CO2, quale si sta sviluppando in Europa.

24 Per una documentata ed aggiornata ricerca su questo aspetto, con riferimento alla realtà del Regno Unito, v. FOLEY Julie e FERGUSSUN Malcolm, Putting the Brakes on Climate Change
A policy report on road transport and climate change
, IPPR (Institute for Public Policy Research), 2003. Questi Autori stimano che il traffico veicolare attualmente contribuisca per il 22% alle emissioni di CO2. Questa percentuale tuttavia, in mancanza di misure drastiche, è destinata a salire al 29% entro il 2020.

25 Tanto che – nel mondo Occidentale – pare corretto affermare che “Most air pollution comes from motor vehicles” (SCHWARTZ, Joel, No Way Back. Why Air Pollution Will Continue to Decline, AEI (American Enterprise Institute), 2003, p. 2).

26 Cfr. sul punto PINCHERA, opera citata, pp. 162-163.

27 Per una chiara e documentata esposizione di questa strategia, v. STEWART e WIENER, Richard B. e WIENER Jonathan B., Reconstructing Climate Policy. Beyond Kyoto, AEI (American Enterprise Institute), 2003.

28 Questo aspetto viene efficacemente trattato da BATE Richard e MONTGOMERY David, Beyond Kyoto: Real Solutions to Greenhouse Emissions from Developing Countries, AEI (American Enterprise Institute), 2004.

29 SUNSTEIN, Cass R., Laws of Fear. Beyond the Precautionary Principle, Cambridge University Press, 2005, pp. 50-51.

30 Caso tipico è quello della lotta ai pesticidi, quale il DDT.