La Repubblica -- 20 febbraio 2005

Quando la tecnica infrange il tabù

Ma senza la politica è un rischio

di Umberto Galimberti

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Come si fa a impedire alla tecnica che può di non fare ciò che può?
Questa è la domanda che oggi si pone di fronte ai tentativi, esperiti
in diversi laboratori del mondo, di contaminazione tra materiale
biologico umano. e materiale biologico animale.

Dopo la donazione della pecora Dolly, il suo creatore Jan WiImut è
stato autorizzato a produrre neuroni umani attraverso la donazione.
Alla Stanford University, il professor Weissman sta trapiantando
neuroni umani nel cervello dei topi. A Shanghai biologi cinesi
studiano gli effetti dell'unione di cellule di uomo e ovociti di
coniglio. Nel Minnesota sono stati creati animali con sangue umano che
scorre nelle loro vene. Nel Nevada s isono ottenute pecore con fegati
e cuori formati da cellule umane. E questi sono solo alcuni esempi di
sperimentazioni in cui si oltrepassa il confine tra mondo umano e
mondo animale.

La cosa è allarmante sia per chi pensa, alla maniera degli antichi
greci, che le leggi di natura non possono essere violate, sia per chi
pensa, come vuole la tradizione giudaico-cristiana, che la natura
possa essere dominata e posta al servizio dell’uomo, ma nel rispetto
delle sue leggi. Queste due concezioni, e le etiche che le difendono,
sono entrambi inadeguate nell'età della tecnica, perché formulate in
epoche in cui la tecnica non era in grado di modificare la natura, e
il potere dell'uomo sulla natura era praticamente nullo. Oggi non è
più così. La natura non è più immutabile perché è in ogni suo aspetto
manipolabile e modificabile dall'intervento tecnico.

La tecnica, a sua volta, non è più in potere dell’uomo perché i
risultati che consegue non nascono da indicazioni umane, ma dagli
esiti delle sue procedure, in cui è rintracciabile quella che potremmo
definire "l'etica della tecnoscienza" che risponde all’imperativo: «Si
deve conoscere tutto ciò che si può conoscere, e quindi fare tutto ciò
che si può fare».

Così formulata, l'etica della tecnoscienza ha come obiettivo solo il
suo autopotenziamento. Come è evidente, ad esempio, nelle ricerche sul
potenziamento delle armi atomiche, anche se ne disponiamo abbastanza
per distruggere la terra almeno diecimila volte. E non collima con
l'etica antropologica che ha in vista il miglioramento delle
condizioni umane. E questo non collimare non è solo un dato di fatto,
ma è un contrasto di principio, perché la tecnica non è più uno
strumento nelle mani dell’uomo, come ostinatamente si continua a
credere, ma è diventata il vero soggetto della. storia, e come tale
esprime non più il potere dell'uomo sulla natura, ma il suo potere
sull'uomo e sulla natura.

Oggi si è giunti alle estreme conseguenze di quell'intuizione che
Bacone aveva avuto alle origini della scienza moderna e che aveva
espresso in quella formula «scientia est potentia», Una formula
divènuta minacciosamente coerente con se stessa nel momento in cui il
sapere si è autonomizzato dall'uomo che l'ha escogitato. sottraendo a
quest'ultimo il potere che al sapere è intimamente connesso. In questo
scenario, di fronte alla tecnica,l'etica diventa pat-etica. Può
invocare la tecnica che può di non fare ciò che può. E quando s'è mai
visto nella storia un'autolimitazione della potenza da parte di chi la
detiene?

Finita l'epoca in cui, per insufficienza tecnica, la natura era
pensata come l'immutabile; finita l'epoca in cui l'uomo poteva
concepire la tecnica come "mezzo" per agevolare il suo dominio sulla
natura, oggi siamo nell'epoca in cui la tecnica guarda sia l'uomo sia
la natura come semplice materia su cui compiere la sua
sperimentazione. E se i risultati che la tecnica è in grado di
conseguire coincidono con gli interessi economici, sembra non ci sia
etica in grado di fermare questa collusione, dal momento che non pare
che il mondo sia governato da altri valori che non siano il valore del
denaro che la tecnica concorre a potenziare.

Ci si chiede a questo punto: che fare? Platone diceva che siccome la
tecnica non ha scopi è necessaria quella «tecnica regia», come lui la
chiama, che è la politica, in grado di assegnare alla tecnica i suoi
scopi. Ma oggi la politica ha in vista il primato dell’uomo, il
riscatto delle sue condizioni di vita in molte parti del mondo
subumane, o, come pare, ha in vista. solo l'esercizio della sua
potenza? In questo caso la sua alleanza, quando non la sua
subordinazione alla tecnica sembrano inevitabili. .

E allora il confronto non è, come sempre si dice, tra etica e tecnica
dove non c'è partita, ma, all'interno della politica, per come la
politica pensa se stessa: se come puro esercizio della potenza, o come
quella forma di sovranità a servizio dell'uomo in grado di assegnare
allo sviluppo tecnico, in sé afinaIizzato, il suo scopo.

La vera domanda allora non è quella che solitamente si pone, ovvero se
la tecnica debba essere incoraggiata o arrestata nel suo sviluppo, ma
se la politica è in grado di ripensare se stessa e considerare se la
sua legittimazione le deriva dall'esercizio della potenza, come sembra
oggi accada, o dal!a difesa della condizione umana che non rientra
nelle finalità specifiche della tecnica. Se la politica saprà
rispondere a questa domanda, allora anche lo sviluppo imprevedibile
della tecnica cesserà di apparirci minaccioso.