DARWIN - SETTEMBRE 2005
Un principio alla sbarra
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Ogni volta che salta fuori un rischio, reale o ipotetico che sia, i 
politici di qualsiasi colore sanno di potersela cavare facendo 
riferimento al principio di precauzione. Questa formula sembra piacere 
quasi a tutti: alla stampa, al movimento ambientalista, alle 
organizzazioni dei consumatori. Tanto successo è sicuramente dovuto al 
fatto che l'idea di mettere in campo delle misure precauzionali per 
proteggersi da un rischio, senza dover attendere che il danno si sia 
manifestato, solletica il buon senso e profuma di buone intenzioni. Ma 
proprio mentre il principio è all'apice della popolarità, qualcuno 
inizia a sostenere che il suo declino sia già iniziato. Persino nella 
roccaforte storica della precauzione, l'Europa, risulterebbe tanto 
incensato quanto disatteso.
Quando ha approvato il Trattato di Maastricht nel 1992, l'Unione si è 
impegnata a implementare le sue politiche ambientali in conformità con 
il principio di precauzione. E a conti fatti è ormai un decennio che 
le commissioni europee sono impegnate in contenziosi legali che in 
qualche modo tirano in causa il principio. Non è troppo presto, dunque, 
per tentare di fare un bilancio sulla sua applicazione da parte dei 
tribunali del vecchio conntinente, come hanno fatto Gary Marchant 
e Kenneth Mossman dell'Arizona State University. Secondo l'analisi 
proposta dai due americani, che hanno studiato le sentenze emesse fino 
al febbraio del 2004 il principio di precauzione è stato citato in 60 
decisioni, anche se solo in 14 di questi casi gli è toccato un ruolo 
da protagonista. La statistica comunque mette in evidenza 
un'applicazione inconsistente e persino controintuitiva, perché i 
giudici sembrano più inclini a decidere a favore della precauzione 
proprio nelle sentenze in cui il principio riveste un ruolo secondario. 
In altre parole il principio sarebbe applicato in modo più stringente 
laddove è meno pertinente e viceversa. Le parti che hanno fatto ricorso 
all'argomento della precauzione, infatti, hanno vinto il 75% dei casi 
in cui questo aspetto aveva un'importanza secondaria, e solo la 
metà dei casi in cui rivestiva un ruolo di primo piano (7 su 14). In 
linea generale, comunque, i verdetti appaiono piuttosto imprevedibili: 
mentre il principio di precauzione è stato severamente applicato
in qualche contenzioso sugli Ogm, per esempio, è stato interpretato in 
modo più permissivo nelle decisioni sulla carne bovina a rischio Bse. 
In qualche caso le corti  sono arrivate a conclusioni paradossali 
perché l'intento precauzionale si è concretizzato in un ribaltamento 
dei dati scientifici. Il tribunale di primo grado della Corte di 
Giustizia europea ha addirittura citato pareri scientifici re1ativi 
all'uso di un certo antibiotico in zootecnia, per sostenere in via 
precauzionale il divieto di utilizzare un antibiotico diverso di cui 
non si poteva sostenere la dannosità. Un vero salto mortale dal punto 
di vista logico. Ma è accaduto anche il contrario, come in Artegod GmbH 
v. Commission, dove le premesse iperprecauzionali sono imprevedibilmente 
sfociate nella mancata applicazione del principio. Proprio questo 
contenzioso si distingue dagli altri 59 perché è l'unico in cui è stata 
presentata una definizione del principio di precauzione, che com'è noto 
si presta a molte formulazioni diverse.
La definizione scelta è tra le più estreme, perché lascia carta bianca 
alle autorità regolatorie su quando il principio dovrebbe essere 
applicato, non solo nel caso di rischi esistenti ma anche di quelli 
teorici e senza distinzioni di gravità. L'unico paletto che viene 
fissato riguarda il fatto che la protezione della salute deve avere la 
precedenza sulle considerazioni di natura economica, lasciando aperta 
la porta all'ipotesi assurda che possano essere spese infinite risorse 
per ridurre rischi infinitesimali. In questo caso, comunque, agire in 
via precauzionale avrebbe avuto senso, perché oggetto del contendere 
era la decisione della Commissione europea di ritirare l'autorizzazione 
ad alcuni farmaci per l'obesità, in accordo con le opinioni del 
comitato scientifico competente secondo cui i prodotti in questione 
presentavano seri rischi e dubbi benefici. Nonostante tutto, però, la 
corte non se l'è sentita di applicare il principio così come lo aveva 
definito e ha addirittura rovesciato la decisione della Commissione. 
Un'altra capriola.
Il problema di fondo è che il principio di precauzione, invece di 
restare come una sorta di riferimento generale, è andato 
cristallizzandosi in norma vincolante, trasformandosi da soft law in 
hard law senza possederne i requisiti. I suoi critici, quindi, possono 
interpretare i primi dieci anni di attività delle corti europee come 
una conferma del fatto che si tratta di uno strumento inaffidabile e 
capriccioso, che non offre criteri oggettivi di valutazione e si presta 
a essere utilizzato arbitrariamente contro le nuove tecnologie o i 
nuovi prodotti senza garantire allo stesso tempo una migliore tutela 
della salute pubblica o dell'ambiente. Anche i sostenitori del principio, 
però, in qualche caso hanno dovuto ammettere che la sua applicazione è 
difficile. Il britannico Michaeal Meacher, per esempio, si è fatto 
conoscere come un ardente sostenitore del policy­making orientato alla 
precauzione, ma quando era ministro dell'ambiente e si è trovato a 
fronteggiare l'emergenza dell'afta epizootica, ha dovuto riconoscere 
che ormai c'erano eccessi di reazione nei confronti di rischi inesistenti 
e il principio «stava sfuggendo di mano».
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