Il Corriere della sera del 17 febbraio
2006
"Speer e il potere della tecnica"
di Natalino Irti
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Un documentario televisivo - seguito da sobrio e severo giudizio di
Pao Mieli - ha di nuovo tracciato, pochi giorni or sono, il disegno
biografico di Albert Speer. Architetto, scenografo delle adunate
nazionalsocialiste in Norimberga, ministro per gli armamenti negli
anni della guerra mondiale, Speer si è consegnato ad un sinistro e
fascinoso libro del 1969: Erinnerungen (volto in italiano sotto titolo
di Memorie del Terzo Reich). Nella penultima nota tecnica del capitolo
conclusivo, discorrendo del processo di Norimberga e della condanna al
carcere del grande ammiraglio Karl Doenitz, Speer offre un inatteso
tema alla riflessione del giurista. La condanna di Doenitz non è
motivata con inosservanza del diritto bellico: l'imputato esibisce in
discolpa una dichiarazione dell'ammiraglio americano Nimitz, provante
il carattere "indiscriminato" della guerra sottomarina condotta dagli
Stati Uniti nell'Oceano Pacifico. Speer commenta: "In questo caso uno
sviluppo tecnico (impiego di aerei, migliori metodi di localizazione)
sopraffece, sconvolse, annullò la norma giuridica. Fu il primo esempio
della possibilità che la tecnica ha oggi di stabilire nuove
valutazioni giuridiche che possono avere come per conseguenza
l'uccisione legalizzata di innumerevoli uomini".
Le Memorie di Speer, simboleggiando l'incontro fra tecnica e Stato
totalitario assumono una tonalità presaga e funesta. La tecnica non è
riducibile a strumento, che si lasci adoperare per scopi decisi
dall'uomo; non è un qualsiasi mezzo, necessario per conseguire un
certo risultato. 
La concezione strumentale immagina che l'uomo sia in grado di piegare
la tecnica in proprio servizio, e non si avvede che essa è ormai
dominatrice del proprio autore. Poiché l'uomo riduce l'intero mondo al
fattibile, e considera anche il corpo come prodotto, ecco che la
tecnica non sta più dinanzi come mezzo, ma rivela l'essenza stessa del
suo fruitore.
La tecnica non è fuori dell'uomo, ma costituisce e determina l'uomo
del nostro tempo.
Questo è il punto di vista di eminenti filosofi: da Martin Heidegger a
Emanuele Severino, per il quale la tecnica, come mai sazia volontà di
raggiungere scopi, costruisce e demolisce, chiama le cose dal nulla e
le risospinge nel nulla. Qui il diritto avrebbe poco o nulla da dire:
esso ha dietro di sé soltanto ideologie e visioni politiche, destinate
a soccombere nell'urto con la potenza della tecnica. La normatività
giuridica perde ogni autonomia, limitandosi ad accogliere e registrare
i risultati della tecnica. Questa - come profetizzava Speer- suscita
nuove valutazioni giuridiche: illecito e l'illecito abbandonano gli
antichi confini. Tutti i criteri di giudizio vanno ridefiniti.
Giuridico è il conforme alla tecnica; antigiuridico, il difforme e il
contrastante. La tecnica non è più materia disciplinata dal diritto,
ma potenza conformatrice di esso. Da tale concezione, che attribuisce
alla tecnica i caratteri già posseduti da antiche divinità, si
discostano le tesi (dall'autore di questo elzeviro già proposte in
dialogo con Emanuele Severino), volte a riconoscere nel diritto, e
perciò nella sfera politico-ideologica, una diversa potenza. Sempre
laica e terrena, ma capace di fronteggiare altre forme di potenza -
biologia e fisica, economia e finanza - e di contendere ad esse il
dominio del mondo. Non si tratta di banale riduzione della tecnica a
strumento, ma piuttosto di configurare una pluralità di tecniche, o
forme di volontà si potenza, che rivaleggiano nella storia, di tempo
in tempo vinte o vincitrici. La storia si configura, insomma, o come
luogo di conflitto fra volontà di potenza - conflitto di cui non si
conosce né si prevede l'esito - o come terreno dominato dall'esclusiva
potenza della tecnica, a cui nulla può sottrarsi e nulla ribellarsi.
La frase di Speer muove nel solco della filosofia moderna, e attesta,
ancora una volta l'acuminata intelligenza dell'architetto hitleriano.
Non gli sfugge la pretesa della tecnica di farsi norma dell'agire, e
di trovare dentro se stessa le regole del diritto. Le "valutazioni
giuridiche" non hanno il controllo della tecnica, ma sono stabilite e
modificate dal suo progredire. Le parole dell'ultima pagina lasciano
cogliere l'intrinseca connessione fra dominio della tecnica e Stato
totalitario. Sembra che Speer ne sia insieme affascinato e inorridito,
e che la superbia del tecnico si veli di dolorosa perplessità.
Si lascia la pagina stretti in un'alternativa: se il diritto, e dunque
i giudizi di legalità e illegalità, siano determinati dal "progresso"
tecnico; o se invece essi esprimano un autonomo criterio, capace di
porsi di fronte alla tecnica, prescrivendone il grado di sviluppo e le
forme applicative.