Corriere della Sera - 31 maggio 2005
Scienziati: un'opinione di troppo
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Tra le cose che deciderà il prossimo referendum del 12-13 giugno ci 
sono anche lo spazio e il ruolo che la scienza deve o non deve 
aspirare a occupare nella società italiana, nel suo discorso pubblico. 
Anzi non la scienza, per essere precisi, ma gli scienziati. I quali in 
questi giorni di spazio ne occupano parecchio, essendo contesi dai 
fautori tanto del no che del sì e non esitando a schierarsi con gli uni 
o con gli altri. A guardar bene, però, questa mobilitazione pubblica 
degli scienziati non è così limpida e coerente come vorrebbe sembrare, 
e come sarebbe opportuno che fosse: in particolare nel campo degli 
scienziati pro-referendum, di gran lunga il più affollato e pronto a 
scendere in campo. Colpisce ad esempio. che parlando nella loro qualità 
di scienziati, invitati a esprimersi proprio per questa, nessuno degli 
addetti ai lavori si rifiuti di estendere il suo sì anche al quesito 
sulla fecondazione eterologa. Ma che cosa c'entra, mi chiedo, un tale 
quesito con la scienza. Ben poco. Qui, infatti, non si tratta di 
stabilire nulla che abbia un particolare contenuto scientifico (fatta 
salva forse accertare qualità e quantità della stress ormonale a cui è 
sottoposto il corpo femminile nel caso di cessione o ricezione di 
ovociti). Si tratta invece di decidere in primo luogo se sia eticamente 
e socialmente positivo che vi siano esseri umani tenuti all'oscuro 
della propria genitorialità naturale, che si verifichi un inevitabile 
commercio di liquido seminale e di ovociti con relativa, altrettanto 
inevitabile, accertamento delle loro caratteristiche, e infine che anche 
coppie di omosessuali possano generare figli. Tutte questioni, come si 
vede, che con la scienza propriamente intesa non hanno un grande 
rapporto. Eppure, ripeto, in tutti questi mesi non mi è capitato di 
leggere di un solo scienziato che non si sia sentito in dovere di 
estendere la sua competenza di addetto ai lavori anche a questioni del 
genere. E' come se all'epoca del referendum sul costo del lavoro gli 
economisti interpellati in proposito si fossero messi a dire la loro 
sulla accettabilità etica o meno del sistema capitalistico. Non voglio 
dire che allora questa disinvoltura esternataria, chiamiamala così, 
getti una luce ambigua su tutto l'insieme delle indicazioni che ci 
giungono dagli uomini di scienza. Voglio semplicemente osservare che 
nella cultura della nostra società è così forte la fiducia riposta negli 
"esperti", nel sapere scientifico-tecnico, che ne nasce una pressione 
sociale tale da mettere a rischio la soglia di vigilanza critica degli 
stessi esperti, degli stessi scienziati. I quali, alla fine, si sentono 
inevitabilmente investiti di una sorta di funzione oracolare a 360 gradi. 
Bisognerebbe invece ricordare che in una democrazia la funzione degli 
esperti è quella di aiutare a chiarire le questioni di loro competenza, 
non già di decidere per conto delle maggioranze. Soprattutto se come in 
questa caso si tratta di questioni che hanno un evidentissimo contenuto 
morale. Un contenuto morale indipendente da ogni aspetto religioso perché 
qui è questione di dove fissare - nella sfera cruciale del modo di 
concepire e di nascere e del rapporto tra genitori e figli - il limite tra 
ciò che è compatibile con la libertà e la dignità umana e ciò che non lo 
è. Attribuire in tali questioni uno spazio esorbitante all'opinione degli 
"esperti", significherà semplicemente oscurare il cuore del dilemma e 
dunque contribuire a una deresponsabilizzazione etica-politica dei 
cittadini dalla quale la democrazia non ha nulla da guadagnare.