20 passi per un dialogo [25 Maggio]

( 20 Maggio 2004 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Vai all'aggiornamento del 25 maggio

Con questo post intendo ripercorrere la conversazione che si è svolta on line recentemente (e forse continuerà a svolgersi) fra Fiorella Operto, Tommaso Correale Santacroce e me.

Primo passo...

Post del 16 marzo

Il dialogo era partito come una sorta di intervista a Fiorella Operto e verteva sull'argomento del rapporto fra Arte e Scienza, o meglio: fra Arte e Robotica. Per meglio precisare e per essere più circostanziato: del rapporto fra comunicazione artistica (Fiorella da anni si occupa di comunicazione e di divulgazione scientifica) e robotica.

Secondo passo...

Post del 18 marzo

Fiorella ha subito posto in luce come sia connaturato allo spirito artistico l'aver a che fare con l'imprevedibile. Più volte ritroviamo nel dialogo (e in numerose occasioni lo si trova nel sito della FGB) il nesso fra "imprevedibile", "improbabile", "innovazione" (si pensi a come questi termini richiamino, pressoché immediatamente, i concetti di "libertà" e di "responsabilità"; tant'è che, nella nostra conversazione, a un certo punto è emersa la domanda se si possa parlare di responsabilità dell'artista).
Anche la robotica --ci dice Fiorella-- essendo una scienza allo stato nascente, per sua natura è una specie di "combinazione" interdisciplinare della quale non riusciamo (ancora?) a prevedere quale sarà il filone applicativo che andrà per la maggiore.

La nostra conversazione, essendo un'esperienza in presa diretta, ma per sua natura composta da interventi asincroni, si è sviluppata un po' come --citando Tommaso-- i filamenti delle nuvole. Se ci si pensa, è proprio questa sua caratteristica ciò che ha consentito una certa ricchezza di spunti, sia pur a scapito della coerenza. Cercare la coerenza nel mentre una forma di comunicazione di questo genere, in tempo reale e a più voci, si sviluppa frenerebbe di molto la spontaneità delle idee espresse.

Siamo così "passati attraverso" il principio estetico nella scienza, le opere di Patricia Piccinini (l'arte come suggestione, l'arte come "messa in scena" di relazioni), il convegno (in quel momento in corso) "Modern Biology and Visions of Humanity", "Oxygen" di Carl Djerassi, Scienza e Teatro, lo Specchio (...Alice nello specchio ci passa attraverso), il robot come ente che costringe l'essere umano a confrontarsi col proprio "io" (...lo specchio "costringe" gli astanti a confrontarsi con la propria immagine, a "ri-conoscersi" o a non "ri-conoscersi" in essa; e il problema del riconoscere un robot è argomento topico di molti film...), proprio come gli artisti ci "costringono" a guardare (e poi a "vedere") qualcosa che, diversamente, non ricadrebbe nella nostra prospettiva, nella nostra percezione, nella nostra comprensione del mondo.

Da Milton a Calvino al Capek di "R.U.R, Rossum's Universal Robots", a Pinocchio, Frankenstein, il Golem, a Nathan Never.

Fino al concetto di un "mondo misurato e dominabile", senza più imprevisti e... senza innovazione?

Robot (idealtipici) che ci prendono per mano e ci conducono a interrogarci sulla nostra libertà e responsabilità.


[25 maggio]

Not about robots, but about us

Così si chiude un recente articolo che Bruce Sterling ha scritto per Wired (ringrazio Paola Parmendola per avermelo segnalato):

«If the symposium [Ndr: the First International Symposium on Roboethics] offers a take-home message, it's not about robots, but about us. It's about the likes of Alfred Nobel, a person so farsighted that he changed the face of science. He also became one of the most notorious arms dealers of his time. San Remo was his final refuge from the opprobrium of the civilized world.

Ever since Karel Capek introduced the term with his 1924 play R.U.R. or Rossum's Universal Robots, robots have been our theatrical attempt to dress up technology in human form. They embody our very human desire to make technology into a buddy or maybe a doppelgänger - but at least somebody. Somebody like us, with one improvement: We can make a robot behave, even though we've never managed that trick with ourselves. After all, Nobel was a humanitarian benefactor who enriched the world with his weaponry. Being good is nowhere near as simple as it sounds.»

Si veda anche l'intervista che gli ha fatto Sylvie Coyaud (riportata nel blog "Tout se Tient"):
link diretto all'intervista
"Avremo i robot che ci meritiamo" (il post nel blog Tout se Tient)

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Dal Golem all'intelligenza artificiale: la scienza in teatro per una riflessione esistenziale

( 14 Aprile 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Questo articolo ha il titolo che Silvana Barbacci ha dato al suo saggio pubblicato nel sito del giornale del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa, intendendo per "riflessione di tipo esistenziale" «una riflessione che ha a che fare con temi che riguardano intimamente l'uomo, il significato del suo essere nel mondo, la responsabilità del suo agire. In questo senso la scienza non offre al teatro contenuti, ma una materia viva da cui scaturiscono domande sul senso della storia, della vita e della morte.»

Il saggio analizza tre opere teatrali (R.U.R, Rossum's Universal Robots di Karel Capek, Il cervello nudo, di Giuseppe O. Longo e I Cinque di Cambridge, di John L. Casti, nell'adattamento per il teatro) che, «ognuna a suo modo, sottopongono lo spettatore a una riflessione sul tema delle "macchine pensanti", frutto del sogno demiurgico dell'uomo di imitare l'atto della creazione divina».


La "rimozione del corpo"

Uno dei leitmotiv interni al saggio che vorremmo qui evidenziare è quello della "rimozione del corpo", cioè la questione (interna a tutto lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale, ma che, ovviamente, ha radici storico-filosofiche molto profonde) che consiste nell'indagare la consustanzialità del corpo rispetto all'intelligenza (e alla mente... e alla coscienza di sé).
Anche nell'immaginario dei racconti (fanta)scientifici, è forte la presenza degli scritti in cui testa, corpo e cervello vengono separati, composti con le loro copie artificiali. Come se la relazione tra la mente e il corpo fosse poco chiara, un campo tutto da esplorare. E in effetti è così.
La posizione di partenza degli studi sull'intelligenza (ma anche il pensiero comune) tende subito a due domande di base: "dove si posiziona il pensiero" e "dove si colloca il sé".
Sono domande sul corpo che di per se stesse cercano la "sezionabilità", come se fosse una strada ambita poter superare la base fisica del pensiero.
La "rimozione" del corpo di cui al saggio, sottolinea appunto come i primi anni di studi sull'Intelligenza Artificiale si siano avviati lungo una via dove il corpo veniva ignorato o sostituito, senza che fosse concepito come parte in causa.
La soluzione, d'altra parte, a livello di speculazione inventiva (v., in questo sito, i testi citati in "11 creature"), non poteva dare risposte, senza che venisse scelta una direzione.

Il Principio di precauzione in questo sito:
• nel Percorso dedicato;
un'intervista di Margherita Fronte a Paolo Vineis sui rischi delle nuove tecnologie applicate alla vita e sul principio di precauzione (negli Argomenti di Novembre 2002 - Gennaio 2003)

A volte, di fronte a un bivio incerto prendere a caso una delle strade è l'unica cosa buona da fare, ma... in altri casi è sostare fino a che non si è ricevuta qualche informazione che permetta una scelta? (questa domanda ci riconduce alla tematica del "principio di precauzione" e delle responsabilità delle scelte in campo scientifico).

Sulla "rimozione del corpo" è abbastanza noto il punto di vista di Giuseppe O. Longo, frequentatore di questo sito (al quale siamo riconoscenti del seminario in forma di forum, ricco di tanti spunti e approfondimenti, svoltosi qui, cioè on line, all'inizio dell'anno scorso): «Se dico che il corpo è uno "strumento" non lo dico certo per sminuirlo, ma al contrario per indicare la sua assoluta pregnanza: per me la tecnologia (di cui il corpo è il primo e più fondamentale elemento) è costitutiva, non superficiale: il corpo è il filtro, l'interfaccia con la quale siamo collegati con noi stessi e con il mondo. Il sogno di meccanizzare il pensiero e, soprattutto, di esorcizzare le misteriose e inquietanti capacità del genio ha segnato tutta l'età moderna, e ha portato all'invenzione di una serie di estroflessioni cognitive, più o meno raffinate ma sempre di natura automatica, nel tentativo di ottenere con un sol colpo di manovella tutte le proposizioni vere, tutti i risultati esatti, tutti i teoremi dimostrabili. Ma il colpo di manovella provoca un'alluvione di proposizioni vere tra le quali il cieco automatismo della macchina non consente di distinguere quelle insignificanti da quelle davvero importanti. La discriminazione può essere compiuta solo dagli esseri umani in base alle loro capacità e ai loro interessi esistenziali: quindi la complessità della persona e lo spettro del genio, cacciati dalla porta, rientrano dalla finestra. Il genio, con le sue qualità misteriose e lussureggianti, la sua intuizione ingiustificabile e le sue creazioni arbitrarie, causa nelle persone comuni uno sgomento e un timore reverenziale che da un momento all'altro possono tramutarsi in avversione, odio e furore.» (replica del 14 febbraio 2003; link al testo integrale del Forum)
[ * ]

Il leitmotiv della "rimozione del corpo" appartiene, poi, all'alveo della tematica del "Post Human", che in questo sito ricorre in diversi momenti e sotto vari profili di approccio; il più completo è probabilmente quell' "11 Creature" più sopra già indicato.


Mondo eccessivo e caotico; ordine e disordine; responsabilità e innovazione

C'è, inoltre, una frase di Longo, ripresa dalla Barbacci, che ci pare densa di significato per le attinenze che può avere con la tematica di base che costituisce la ragion d'essere della Fondazione Bassetti. La frase è la seguente: «Corpo e genio sono simboli e attori del disordine, si oppongono dunque al continuo tentativo dell'uomo di impartire ordine e regola al mondo eccessivo e caotico nel quale viene a trovarsi. Con l'aiuto della ragione, della razionalità computante, l'uomo cerca sempre infatti di ricostruire la realtà, sostituendo al mondo dato, troppo florido e rigoglioso, un mondo più asettico e meno violento, un mondo misurato e dominabile che gli consenta di sopravvivere.»

Ordine che si contrappone al disordine... ci si può anche chiedere se possa esservi una sovrapposizione semantica con responsabilità e innovazione. Ma allora, se si sceglie di stabilire tale affinità concettuale, potrebbe darsi la conseguenza che siamo di fronte a una contrapposizione? In altri termini: tra agire innovativo responsabile e agire innovativo può esservi un contemperamento, oppure v'è sempre un procedere dialettico per contrapposizione e sintesi?
Una chiave d'approccio potrebbe consistere nel porre l'attenzione sull'opinione di Longo secondo cui «l'uomo cerca sempre di ricostruire la realtà, sostituendo al mondo dato, troppo florido e rigoglioso, un mondo più asettico e meno violento, un mondo misurato e dominabile che gli consenta di sopravvivere.»
"Un mondo misurato e dominabile"... all'interno di quale visione del mondo è allora coerente immaginare l'innovazione come azione scardinante, e quindi rivoluzionante, rispetto un sistema precostituito?
Se possiamo convenire sul fatto che uno spazio all'innovazione può essere immaginabile sempre esistente, così come non si può immaginare una realtà senza imprevisti, allora potrebbe porsi la questione della gestione di questo spazio, sia che noi fossimo per una limitazione di quest'area, sia che ci ponessimo nell'ottica di un mondo totalmente caotica.

In proposito, la seguente osservazione della Barbacci può far luce su una possibile tesi, quella di Karel Capek, l'autore di R.U.R, Rossum's Universal Robots: «Capek non aveva fiducia nelle riforme violente che prospettavano scenari radiosi per il futuro e non si faceva molte illusioni sui cambiamenti. Per questo, nel suo testo, per bocca di Alquist [Ndr: il protagonista del racconto] prevale un'inclinazione verso l'equilibrio, il rispetto per la natura e gli altri esseri umani e viene sottolineato il valore dell'amore come unica possibilità di riscatto.».


L'arte come mezzo di conoscenza del mondo

Un altro leitmotiv che è possibile riscontrare nel saggio è quello dell'arte come mezzo di conoscenza del mondo immediata, cioè --appunto-- non mediata dalla ragione. Di questo (o meglio: anche di questo) si sta discutendo nella conversazione che si svolge da qualche settimana in questo sito.

Le tre opere analizzate nel saggio «non sono certo gli unici esempi --scrive Silvana Barbacci-- di come temi inerenti alla creazione imitata e alle macchine pensanti arrivino in teatro, ma sono particolarmente significativi perché, attraverso realizzazioni sceniche differenti, con contenuti e punti di vista diversi, mostrano la bifrontalità del rapporto fra scienza e teatro: il teatro che guarda alla scienza e la scienza che guarda se stessa in teatro».

Il rapporto fra scienza e teatro è stato da ultimo toccato in questo sito lo scorso settembre: "La scienza a teatro"


Coscienza (e quindi) dolore (e quindi) responsabilità

Una pagina dedicata a "Il cervello nudo", sul sito Erewhon

Il tema della responsabilità è d'altra parte insito nel opera drammatica di Giuseppe O. Longo intitolata "Il cervello nudo" e presa in esame nel saggio della Barbacci: un testo scritto per il teatro che ruota attorno a tre concetti che sono l'uno completamento degli altri: coscienza, dolore, responsabilità.

Il dialogo seguente, che si svolge fra due personaggi del racconto, compendia la morale che l'autore sembra privilegiare: il progresso, inteso nel senso della tecno-scienza ci appare quasi dotato di una sua intenzionalità impersonale (nonostante questi due termini possano apparire antitetici) nello sfuggire alla memoria di «quel luogo oscuro e baluginante cui tendiamo di continuo, il luogo della germinazione prima, dei defunti, delle premonizioni, dei consanguinei, dei figli. Un luogo dal quale ci siamo sforzati di uscire per riscattarci dalla condizione umana [Ndr: il "Post Human"...], ma che non cessa di chiamarci con una voce che si ode quando si attenua o tace il frastuono del pensiero e delle macchine. E' questo luogo che la razionalità rifiuta, il punto delicato e sensibile in cui incontriamo noi stessi per diventare ciò che siamo, e riflette il carattere elusivo e peculiare della nostra umanità. Portiamo in noi il marchio di tutte le cose, e anche dell'ombra dalla quale siamo usciti: che cosa comporta il distacco volontario dalla nostra linea germinale? La ricostruzione formale del mondo significherebbe appunto un rifiuto della nostra storia psicobiologica, del corpo e delle sue istanze fondamentali, una svalutazione dell'inconscio e una negazione della femminilità»

Il protagonista del racconto, pur non rinnegando la scienza, sostiene il valore profondo della moderazione, che è anche figlia di un approccio umile al mondo. Di un approccio, cioè, che dovrebbe essere ispirato da origini antiche, visto che è frutto della nostra coscienza, della coscienza (anche dolente) di ciò che siamo, del nostro potere, anche distruttivo, così come dei nostri limiti. Moderazione e umiltà... un modo di essere che, in ultimo, potrebbe forse risultare di grande aiuto per un progresso responsabile.
Il progresso... ecco come il progresso appare drammatico agli occhi del protagonista: «... il mondo è in pericolo deviamo i fiumi dalla Siberia! Trasciniamo gli iceberg all'Equatore! Mettiamo in orbita mille satelliti armati di specchi, così che le nostre città siano sempre illuminate da un riverbero implacabile!... Follie... [...]. Tutto è contaminato, devastato.vedo solo tralicci contorti, stazioni di servizio annerite dagli incendi, aeroporti abbandonati, opifici fumosi, deflagrazioni silenziose ai margini dei deserti, dalle foreste pluviali salgono velenose spire di fumo.e tutto ciò per opera di anonimi servi industriosi, gnomi della tecnica, laboriosi insetti che ripiombano nel nulla dal quale sono usciti un momento per portare il loro trascurabile contributo allo sfacelo del mondo... e questo contributo, per quanto minuscolo, per quanto infimo, pure sommandosi a tutti gli altri minimi contributi corrode e corrompe e intacca....»

Ma è il finale che riserva la vera e ultima morale del racconto, perché la "salvezza" dell'uomo dalla sua "perdizione" verrà solo se egli saprà ascoltare, in silenzio, la voce del mare, segreto della vita.
Il senso del limite, se vogliamo: un limite, interno a noi stessi, che è anche il mistero di chi siamo e del perché siamo. Se questo "senso" è radicato nell'essere umano per motivi biologici (preumani?) --e da qui il rifiuto del corpo, l'anelito al Post Human a cui abbiamo già accennato-- esso può forse richiamare alla mente un "senso del limite" che abbiamo preso in considerazione, in queste pagine l'anno scorso, nella visione di un filosofo di matrice cattolica, Adriano Pessina, il quale però parla non tanto di "senso del limite", quanto piuttosto di "'senso' del possibile e orizzonte del limite nella civiltà tecnologica".

Adriano De Laurentis, 'Paesaggio marino'

-- Adriano De Laurentis, "Paesaggio marino" --
(in www.delaurentis.it/)


Shosetsu

La riflessione esistenziale... ma torniamo al teatro: con "I cinque di Cambridge", una versione teatrale tratta dall'omonimo romanzo di John L. Casti, scrittore di scienza, che è stata curata da Luca Scarlini per il Festivaletteratura di Mantova del 1999. Nella nota al testo citata dalla Barbacci, Casti dice che il suo «non è proprio un romanzo, ma un'opera di fiction, anzi di quel nuovo genere che mi piace chiamare "fiction scientifica". La parola giapponese per questo tipo di lavoro è shosetsu, un termine molto più flessibile e ricco di 'romanzo'. Un'opera di questo genere, pur contenendo elementi di fiction, è qualcosa di più di una cronaca; è un'opera che tenta di trasferire in uno scenario fittizio le questioni intellettuali e conoscitive su cui si confrontano gli esseri umani impegnati nel modellare la scienza e la tecnologia del proprio futuro.»

I lettori di questo articolo troveranno una risposta a numerosi interrogativi (quali, per esempio, le trame delle tre opere teatrali) proprio nel saggio di Silvana Barbacci, dal quale desideriamo citare, da ultimo, le parole con cui (appunto) si conclude: «Di queste tre opere, in particolare "Il Cervello nudo", che nasce con la motivazione del teatro scientifico, mostra come il teatro possa ben coniugarsi con la scienza quando questa fa sorgere problemi che riguardano intimamente l'uomo, nel suo essere nel mondo e nella responsabilità del suo agire: in altre parole, quando la scienza diviene motivo di una riflessione più ampia, che trascende l'ambito dei suoi contenuti e si esprime nella domanda sul senso del mondo, della vita e della morte. Così il teatro torna ad essere il luogo di rappresentazione di quel nostro privato teatro interiore, che è la coscienza, dove queste domande si affacciano insieme ai pensieri, alle fantasie, ai sogni.»


Si vedano anche:



[*] Longo descrive un "Homo Technologicus" simbionte, un'evoluzione dell'uomo attraverso l'integrazione con la tecnologia; ma «uno degli inconvenienti più gravi a questo riguardo è la diversa velocità con cui si sviluppano la tecnologia, la nostra capacità di adattamento e le interfacce tra uomo e tecnologia (si tratta di direttrici evolutive spaiate [...]). Insomma il simbionte Homo technologicus fatica ad armonizzare le proprie componenti eterogenee e l'una rischia di soffocare l'altra. Gli antichi meccanismi del corpo (fisiopsicologici) soffrono per il contatto, anzi l'invasione, della tecnologia: la tecnologia è sempre un filtro, nel senso che potenzia (o addirittura rivela) certe capacità, ma ne indebolisce o sopprime altre, che magari sentiamo intimamente nostre e indispensabili. Ma la tecnoscienza è disposta a darci il tempo di cui avremmo bisogno per adattarci? O magari per rifiutarla? Ne dubito, proprio per l'accelerazione (da retroazione positiva) che anima l'innovazione: è proprio quest'accelerazione che a volte dà l'impressione che la tecnologia sia una componente autonoma o quasi del sistema complessivo, e questa autonomia percepita preoccupa molto chi vede nella tecnologia una minaccia all'identità dell'uomo.» (replica del 12 febbraio 2003; link al testo integrale del Forum)

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Billy Klüver, ingegnere dell'arte

( 21 Gennaio 2004 )

Billy Kluver
Billy Klüver

Il giorno 14 gennaio 2004 è morto Billy Klüver, ingegnere dell'arte.

John Cage e Merce Cunningham
John Cage e Merce Cunningham

Ci sono personaggi che vivono rendendo possibili le svolte, i cambiamenti, le innovazioni, ma che poi rimangono un po' in ombra, alle spalle delle personalità di coloro a cui hanno reso possibile agire. Jean Tinguely, Andy Warhol, Robert Rauschenberg, John Cage, Merce Cunningham, sono solo alcuni degli artisti che hanno realizzato opere con la collaborazione di Billy Klüver.

 

 

Self-destroying-machine, opera di Tinguely
Self-destroying-machine, opera di Tinguely

Pur seguendo una formazione ingegneristica di alto livello, Klüver, ha sviluppato in contemporanea la sensibilità per la realizzazione artistica.

 

 

 

Andy Warhol
Andy Warhol

Così, durante i suoi dieci anni di lavoro presso la Bell Labs - Bell Telephone Laboratories, sviluppa conoscenze ed esperienze artistiche sempre più importanti.

 

 

 


Potsd, opera di Rauschenberg, 1960
Potsd, opera di Rauschenberg, 1960

Nel 1966, con un suo collega ingegnere alla Bell, Fred Waldhauer e con gli artisti Robert Rauschenberg e Robert Whitman, fonda Experiments in Art and Technology (E.A.T.), con l'intenzione di creare una struttura "di servizio" che metta in contatto artisti con tecnici esperti.

 

 

 

Soundings, dalla collaborazione tra Rauschenberg e l'EAT
Soundings, dalla collaborazione tra Rauschenberg e l'EAT

Le realizzazioni della E.A.T. sono state inizio e punto di riferimento per l'arte multimediale fino ad oggi.

 

Un articolo sul giornale on line "Punto Informatico" [G. M. Borrello, 8 febbraio 2004]

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La scienza a teatro

( 15 Settembre 2003 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Heisenberg e Bohr... sullo sfondo: il fungo atomico
Heisenberg e Bohr... sullo sfondo: il fungo atomico

A Modena, al teatro Storchi, lo spettacolo teatrale "Copenhagen", è stato lo spunto per una tavola rotonda alla quale hanno partecipato Pietro Greco e Sylvie Coyaud, giornalisti scientifici, Giovanni Battimelli dell’Università "La Sapienza" di Roma e Stefano Ossicini, dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Su queste tematiche si veda, in questo sito, l' Indice degli Argomenti

Michela Bertolani ha scritto per il magazine online ReS un bell'articolo che ne fa egregiamente un sunto e che mostra una linea di congiunzione tra alcune tematiche che, peraltro, sono trattate con un certo rilievo anche in questo sito. L'articolo parla di responsabilità sociale dello scienziato, di brevettabilità degli organismi viventi, di conflitto di interessi dello scienziato e quindi del rapporto tra scienza e finanziamenti con sullo sfondo il mercato.

«Molti scienziati oggi si trovano a fare i conti con la responsabilità individuale e collettiva che sentono di fronte al potere economico, politico e militare. Negli statuti di molte università europee ci sono clausole per cui non si accettano fondi destinati a ricerche a scopo bellico. Negli Stati Uniti invece alcune università non accettano più finanziamenti dalle compagnie del tabacco.»

Paola Parmendola, nel suo blog, segnala l'articolo di Michela Bertolani all'interno di un post che riguarda, in modo più ampio, il magazine ReS

Una curiosità: che cosa c'entra la Fiat "Topolino" con Enrico Fermi? Scopritelo leggendo l'articolo su ReS.

Fiat 500 Topolino, 1936

Sempre su "Copenhagen" è uscito un articolo di Corrado Colorno pubblicato nel magazine online Golem. Colorno parla anche del "Prometeo" di Eschilo, diretto da Luca Ronconi, e di "Infinities", dell'astrofisico John Barrow.

«Il titano è il pròtos euretès dello strumento che permette agli uomini di sopravvivere, di non soccombere alla ferinità del mondo, di avere una luce che illumina la strada: Prometeo ha fatto agli uomini dono del fuoco, dal quale deriva ogni scoperta: è il principio stesso del progresso. Dalla cottura del cibo alla forgiatura del metallo, per utensili e arnesi e anche per leggere il mondo e il cosmo, fino alla costruzione di armi.

... Prometeo: colui che "pensa in anticipo"... si veda "Tecnoscienza e Responsabilità" (Argomenti, Gennaio 2003)

È la radice stessa della scienza come téchne, tecnica, arte pratica, e Prometeo è come fosse il primo scienziato, colui che conosce prima, il preveggente che domanda e indaga e per il dono che fa loro decide il destino degli umani.»

Prometeo incatenato

«In cinque stanze o sezioni si rappresenta l'infinito dalla prospettiva della matematica, provando a misurarsi con concetti inusuali, cui lo spettatore comune è assai poco avvezzo. La difficoltà della materia nello spettatore è la stessa che riconosce in sé il regista, che affronta il testo da non-matematico, ma da teatrante con l'intento di verificare come le strutture teatrali reagiscano diventando contenitori di teoria, sopportando una materia non teatrale e forse (su questo si scommette) anche anti-teatrale.»

Infinities

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Patricia Piccinini's Ethical Aesthetics

( 1 Settembre 2003 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

[in English]

Patricia Piccinini- Biosphere
Patricia Piccinini- Biosphere
Patricia Piccinini- Biosphere


Patricia Piccinini, pittrice, scultrice, creativa multimediale australiana, di fama internazionale, ci fornisce un esempio di arte critica nei confronti dei portati della scienza e della tecnologia. [in English]
Patricia Piccinini, internationally renowned Australian painter, sculptor, and multimedia artist, provides us with an example of art that is critical of the reach and effects of science and technology.

«What makes Piccinini's work so compelling is its use of aesthetics to develop an ethical position on one of the major conundrums of our time, namely the changing conceptions of life and nature under the onslaught of technology.
[...]
«Piccinini's work does not suggest that human intervention in the essence of life is morally wrong; exuding as it does the sophistication of high-end technology, her work partakes in a discourse of first-world progress founded on the commercialisation of scientific and electronic innovation. Piccinini rather forces us to confront that this intervention is well and truly with us, that the implications are not clear-cut but ambiguous, even contradictory, and that it is therefore vital that we see the consequences of technological innovation with clear eyes. With clear eyes, but also with a look of love.
[...]
Piccinini would urge us to bring an attitude of love to the products of technology, to accept our ethical mantle as creators.»
["Patricia Piccinini: Ethical Aesthetics"]

«Wonder is as important to me as politics. Something that art can do, and that makes it valuable, is that it can transport the viewer to somewhere new. It can create a new thing or experience that exists outside of the rules of global capital.
[...]
Contemporary technology is full of promises and myths. Media culture plays on our hopes and desires for technology with a multitude of pledges and assurances.
[...]

In questo sito:
Cloning: qui
The Internet, dot-coms: qui
Genetic manipulations: qui, qui e qui
Post-human bionics: qui

Il sito di Patricia Piccinini

Cloning, the internet, dot-coms, genetic manipulation, post-human bionics, nano-technology and the like are all going to revolutionise our world and make it a better place. No problems, no questions asked. This is of course rubbish, as is the idea that there is nothing valuable in any of these things. If I appear equivocal it is because I am. No system this vast or complex can be so easily evaluated, yet still we yearn for a straightforward guilty or not verdict. As artists, it is tempting to slip into the comfortable (self-righteous) position of providing such a verdict, and indeed it is important that we have an opinion. My solution to this is to be compromised; to allow myself the space within the work to enjoy what I criticise. Just because something is bad, doesn't mean it isn't good.»
["Artist Statement"]

Sull'argomento si veda anche il post nel blog "Tout se tient".

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Argomento:
Scienza e arte, arte e scienza
(Indice da Settembre 2003 ad Agosto 2004)