Raccontare la scienza: Bateson

( 23 Settembre 2003 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

CIDI di Napoli - Progetto Bateson - Istituto italiano di studi filosofici, "Pensare e agire per storie", giornate di studio su Gregory Bateson, Napoli, 19/20/21 novembre 1999

«[...] Con "Pensare e agire per storie" si cercherà di approfondire un aspetto specifico e di particolare interesse del pensiero di Bateson: la teoria dell'azione. Nel 1969 Bateson organizzò un convegno in Austria spinto dall'urgenza di un cambiamento dell'epistemologia, per la costruzione di una scienza integrata dei sistemi viventi che affrontasse "l'immane problema dell'intervento pianificato". Le recenti scoperte sulla natura cibernetica dei sistemi complessi - formalizzate grazie anche al suo contributo di scienziato e di filosofo della natura - potevano infatti preludere ad "azioni adattative che l'uomo può intraprendere senza cessare di essere morale". Infatti, se l'esitazione è una virtù, la fiducia ingenua nel laissez faire può rivelarsi una scelta incauta, o distruttiva quanto un'azione pianificata a tavolino e tenacemente perseguita. "Ciò che manca - scriveva Bateson in quegli anni - è una teoria dell'azione all'interno dei grandi sistemi complessi, dove l'agente attivo è a sua volta parte del sistema e ne è il prodotto". E, parlando di come alcuni organismi viventi riescono a conseguire il cambiamento pur non computando tutte le variabili, osservava: "Sembra che i grandi insegnanti e terapeuti evitino ogni tentativo diretto di influire sulle azioni degli altri e cerchino invece di instaurare le situazioni e i contesti in cui certi cambiamenti (di solito specificati in modo imperfetto) possano avvenire".»

«P: Gli scienziati in generale sono contenti quando si parla di quello che fanno. Forse è la cosa che li rende più felici. Non voglio dire che sono contenti solo quando ne parlano i giornali, le riviste o i siti Internet. Penso che siano un gruppo di persone che per fare quello che fanno sono costretti a parlare tra di loro, si studiano a vicenda e si correggono, se ne hanno la possibilità. E quindi sono persone portate al dialogo. Almeno, era così fino a un po' di tempo fa.
F: E oggi com'è?
P: Oggi è difficile raccontare la scienza. Ci sono tanti soldi e tanti interessi. Gli scienziati passano la maggior parte del loro tempo a cercare i finanziamenti per le loro ricerche, dal mercato o dallo Stato. Non è che vivano tempi molto sereni. La tecnica ha vinto. E la scienza sopravvive con difficoltà.
[...]
Gli scienziati sono pericolosi quando mettono tra parentesi e non discutono i presupposti da cui partono, per esempio che le successioni divergenti sono imprevedibili e che quelle convergenti invece sono prevedibili.» [grassetti nostri]

Matteo Bartocci, con questo scambio tra P ed F --padre e figlia nel dialogo immaginato in un suo articolo pubblicato su ReS-- usa un metodo dialettico caratteristico di Gregory Bateson, il metalogo, per esprimere, tra l'altro, alcune idee sul rapporto scienza-tecnica e su quella che potremmo chiamare "presunzione di prevedere".

I nessi e connessi rispetto al brano che abbiamo scelto di riprodurre sono tanti in questo sito. Proviamo ad accennarne qualcuno.

In merito all'ambizione (e la presunzione) di prevedere le conseguenze di una ricerca scientifica si veda per esempio quanto dissero in proposito gli studiosi riuniti in un convegno a Venezia circa tre anni fa.

Il precedente link conduce a un documento che riguarda Giuseppe O. Longo, perché egli (che tra l'altro è lettore interessato e partecipe di questo sito) sviluppa un personale percorso epistemologico che ruota attorno all'indagine del rapporto tra la scienza e la tecnica, o meglio: di quell'evidente manifestazione di questo rapporto che egli chiama "tecnoscienza".

Detto per inciso, negli scritti di Longo non sono rari i richiami proprio a Bateson, i cui libri ha peraltro tradotto in italiano.

Il Principio di precauzione in questo sito: nel Percorso ad hoc, mentre a pagina 6 degli Argomenti è possibile leggere un'intervista di Margherita Fronte a Paolo Vineis

La prevedibilità ha a che fare con l'ormai arcinoto Principio di precauzione. Una domanda che potrebbe sorgere è: possiamo mettere in relazione il concetto di innovazione con quelli di "successione divergente" e di "successione convergente"?
Bisognerebbe, prima, vedere di chiarire quale concetto di innovazione adottiamo.
Una frase che spesso la Fondazione Bassetti associa alla propria attività è la seguente: "L'innovazione è la realizzazione dell'improbabile". Si parla di "improbabile", non di "imprevedibile", come dire che per essere innovativi bisogna appunto saper vedere "on the border line", ovverosia saper cogliere, per esempio, prima di tutto i moti di tendenza e costruirci sopra, realizzare qualcosa: iniziative, prodotti, edifici, o... decisioni.
Nell'ultimo post del blog "Quel che poi un metal detector...", intitolato "Ecologia della mente" e dedicato appunto a Bateson, sono elencati i presupposti che ogni studioso dovrebbe avere bene in mente (e sono i titoli dei paragrafi di un capitolo di "Mente e Natura", uno dei testi più illuminati/illuminanti di Bateson).

Mente e Natura, edito da Adelphi, traduzione di Giuseppe O. Longo

Leggi il retro di copertina del libro
(link al sito della casa editrice Adelphi)

Che "le successioni convergenti sono prevedibili" è appunto uno di questi presupposti. E quali sono le successioni convergenti? In breve: quelle che non trattano di individui, istanti, attimi, ma coinvolgono intere classi di questi. E allora chiediamoci: qual è il campo, o "tipo logico" proprio dell'innovazione? Quello del particolare o quello dell'insieme dei particolari?

Bateson parla di apparizione del nuovo quando affianca processi stocastici ed evoluzione della specie (con riferimento all' "Origine delle specie" di Darwin):

«...nei processi stocastici, tanto dell'evoluzione quanto del pensiero, il nuovo può essere tratto esclusivamente dal disordine del casuale. E per trarre il nuovo dal casuale, se e quando esso si manifesta, occorre un qualche meccanismo selettivo che dia conto della persistenza nel tempo della nuova idea. Deve vigere qualcosa di simile alla selezione naturale, in tutta la sua lapalissiana tautologia. Per persistere, il nuovo deve essere tale da durare più a lungo delle sue alternative
(da Mente e Natura, Adelphi, 1984, grassetti nostri)
Leone Montagnini ha fatto poco tempo fa (v., qui, "Per chi ama sottolineare le linee di continuità nella storia") un richiamo alla continuità, come "struttura che permane al di sotto delle novità". Questa idea pare molto vicina alla modalità d'osservazione sottolineata da Bateson, specie nell'ultimo periodo, quando si dedicava alla esplorazione del termine "sacro": al posto di "coscienza" egli parlava di "sensibilità", una speciale sensibilità rispetto alla struttura che connette, e cioè la possibilità di sentire e pensare ai nostri modi di essere e divenire in relazione con insiemi interconnessi e più ampi di cui siamo parte.

Ci si potrebbe anche chiedere in che termini si possa parlare di responsabilità per un'attività innovativa se il concetto di responsabilità è strettamente dipendente da quello di prevedibilità.

Umberto GalimbertiMa è poi è poi così pacifico che questi due concetti siano (o debbano essere) legati?
In proposito, qui indichiamo due articoli di Galimberti, "Criminali altamente responsabili" (La Repubblica, 4 novembre 1999) e "Un terremoto che ci riguarda" (La Repubblica, 18 novembre 2000), ma si veda anche la pagina dello scorso gennaio.

Michael DertouzosD'altra parte, è forse il caso di rammentare quel che pensava Michael Dertouzos: il futuro ci sfuggirà sempre (è possibile leggere anche un commento di Vittorio Bertolini a un suo articolo pubblicato da Il Messaggero nel settembre 2001).

Giunti a questo punto di questo libero ragionamento connettivo è facile rendersi conto che abbiamo trascurato altri argomenti suggeriti nell'articolo che ci ha dato l'incipit. Matteo Bartocci, infatti, attraverso l'espediente dialettico preso a prestito da Bateson ci parla, oltre che del rapporto tra la scienza e la tecnica, anche di quello tra scienza e denaro, o per essere più esatti: tra scienziati e denaro, che in questo sito (ma non solo in questo sito) va sotto il nome di "Conflitto d'interesse dello scienziato".

luce - cristallo convergente - cervello

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Aggiornato "Dalle cattedrali nel Medioevo... [...]"

( 15 Settembre 2003 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Aggiornato "Dalle cattedrali nel Medioevo... al Principio di precauzione... alla responsabilità nei sistemi" con un commento di Vittorio Bertolini.

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Dalle cattedrali nel Medioevo... al Principio di precauzione... alla responsabilità nei sistemi

( 1 Settembre 2003 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

AGGIORNAMENTO del 15 settembre [cliccare per raggiungerlo]


Jean Fouquet, 'La costruzione di una cattedrale', Quindicesimo secolo - cliccare sull'immagine per vederla ingrandita
Jean Fouquet, "La costruzione di una cattedrale", Quindicesimo secolo
(cliccare sull'immagine per vederla ingrandita)

Estratti dal blog "Tout se tient" (aprile 2003)

Leone Montagnini (clic qui per andare al testo integrale)
«Negli ultimi anni ha preso sempre più consistenza una epistemologia debolista che insiste sulle singolarità, l’imprevedibilità, l’incertezza, il caos, la complessità. Si tratta di un modo di pensare estremamente importante, a cui dedico ricerche assidue da dieci anni, in quanto vi riconosco molte virtù che non bisogna assolutamente trascurare. Esso ci ha insegnato che in molte situazioni, dell’universo naturale come di quello umano, il principio di continuità (che, non lo dimentichiamo, fu introdotto da Leibniz come una versione del principio di ragion sufficiente) non può essere applicato, perché sono impreviste e imprevedibili. Ma questo --grazie al cielo-- non è vero sempre. Per cui non dobbiamo rinunciare mai a cercare di spiegare i fenomeni.»
Vittorio Bertolini (clic qui per andare al testo integrale)
«Molte teorie sono nate sulla base di tecnologie che poggiavano su teorie scientifiche quasi inesistenti.
«I maestri costruttori, capaci di progettare la struttura architettonica, curare la decorazione pittorica o scultorea, coordinare il lavoro degli operai, spesso si spostavano nelle varie città europee, laddove c’era in programma la costruzione di una cattedrale, portando la loro esperienza, spesso influenzata dalla cultura del loro paese d’origine.»
[brano tratto dalla presentazione di una lezione a cura della dott.ssa Emma D’Amico per il CESES]
Noi oggi ammiriamo le cattedrali gotiche, ma i costruttori delle cattedrali non conoscevano la statica e le loro conoscenze sulla resistenza dei materiali erano solo empiriche.
Opporsi agli ogm sulla base che la biologia molecolare non è ancora una scienza normale (nel senso di Kuhn) riecheggia l’atteggiamento di quegli astronomi e teologi di matrice aristotelica che si rifiutavano di guardare nel telescopio di Galileo.»
Gian Maria Borrello (clic qui per andare al testo integrale)
«Il cenno che Vittorio Bertolini fa ai costruttori di cattedrali mi ha rammentato un passaggio di un documento del '99 pubblicato anche nel sito della Fondazione Bassetti, in cui si ricordava come durante il medioevo le cattedrali venivano costruite pur in assenza di architetti e progetti. In quel caso l'esempio era usato in senso critico: la costruzione di una cattedrale viene sì intesa come rappresentativa di un sistema di responsabilità funzionante, ma ciò spinge "a contrario" ad osservare che oggi le organizzazioni complesse tendono a eludere (prima ancora che a negare) il problema della responsabilità e che, quindi, è su questo fatto che sarebbe necessaria una seria riflessione

[Nell'autunno del '99 avviai una discussione in argomento nel newsgroup it.arti.architettura: qui in calce trovate il link ai passaggi salienti]
Leone Montagnini (clic qui per andare al testo integrale)
«Il mastro artigiano che costruisce le cattedrali gotiche ha una tecnologia con un contenuto teorico non elevatissimo, anche se non lo sottovaluterei. Come sopperisce alla sua carenza di teoria? Non certo improvvisando, ma applicando moduli comportamentali tradizionali, cioè utilizzando tecnologie a bassa velocità di innovazione, e sovradimensionando i muri portanti, le travi ecc. Due aspetti che corrispondono, a ben vedere, ad un’applicazione ante litteram del principio di precauzione.
Questo però non è l’habitus del biotecnologo. I suoi metodi sono ad altissima velocità di innovazione, approntati in presa diretta con la produzione industriale, dove l’invenzione diviene quasi immediatamente innovazione e produzione di massa
Ecco i passaggi salienti (dal blog "Tout se tient") di un thread avviato nel newsgroup it.arti.architettura nell'ottobre del '99.

AGGIORNAMENTO:

[15 settembre]
Vittorio Bertolini
«L'osservazione che Montagnini fa sul principio di precauzione, di cui, in un certo senso, anche i costruttori di cattedrali si sono serviti (ma aggiungerei anche i costruttori delle piramidi e aggiungo anche gli ingegneri moderni, pur operando su basi teoriche molto più raffinate) mi spinge ad alcune ulteriori considerazioni.
Il quadro teorico di riferimento, quale che sia (compreso il sapere comune dell'uomo della strada), è sempre limitato rispetto alla complessità della realtà, a cui viene applicato.
Se, per esempio, calcolo un albero di trasmissione, so che il materiale usato ha una certa capacità di resistenza ricavata però, in un laboratorio, in determinate condizioni. Il materiale utilizzato ha subito cioè un processo che ha consentito di stimare il valore della sua capacità di resistenza. Con riferimento a tale valore, per ragioni precauzionali --ma anche per altri motivi (non intendo fare una lezione di ingegneria)-- si dà all'abero una dimensione maggiore, in base alla propria esperienza o secondo le norme vigenti.
La conseguenza del metodo seguito è che il rischio è quantificabile e abbastanza limitato. Inoltre, se, per esempio, il cavo è portante di un ascensore le conseguenze sono facilmente prevedibili e quindi la responsabilità del progettista è sufficientemente definita.
Se pensiamo invece alle applicazioni nel campo delle biotecnologie, il più delle volte il rischio e il danno sono ipotetici e imprevedibili, per non parlare della cumulabilità degli eventi.
A mio parere, questo implica che il principio di precauzione non dovrebbe essere preso alla lettera e che dovrebbe essere applicato in considerazione del quadro teorico disponibile.»

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Argomento:
Principio di precauzione
(Indice da Settembre 2003 ad Agosto 2004)