Per esempio: l'utilizzo di Internet...

( 7 Giugno 2004 )

( scritto da Vittorio Bertolini Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Precedenti interventi che appartengono al thread (linea di discussione) del quale questo intervento fa parte:

Formazione, Ricerca e Innovazione

"Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori" (Redazione FGB - 30 Aprile)
(questo intervento in Argomenti riprendeva il testo dell'intervista che Roberto Panzarani --docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma-- ha rilasciato a TILAB, il Centro di Ricerca di Telecom Italia)

"Formazione e Innovazione" (V. Bertolini - 2 Maggio)

"Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy" (D. Navarra - 2 Maggio)

"Qual è la responsabilità del formatore? (E. Volli - 16 Maggio)

"Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti..." (R. Panzarani - 25 maggio)

"Ricerca e innovazione: le condizioni per un miglioramento quasi spontaneo" (G. Correale - 31 maggio)

"Se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica..." (C. Penco - 2 giugno)

Porre un problema è già, in un certo senso avviare una soluzione.
L'intervento di Carlo Penco su "Formazione, innovazione e ricerca" all'item "Se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica..." tocca diversi temi, che rimandano tutti alla responsabilità politica per la promozione di una cultura della formazione più adeguata alle esigenze di favorire la crescita dell'innovazione.
A mio parere non si tratta di superare la vecchia e frusta dicotomia fra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica. I fatti dimostrano che i buoni scienziati si nutrono anche di una buona cultura umanistica. Il darwinismo, sul cui insegnamento nelle scuole medie si è sviluppato recentemente un ampio dibattito, appartiene alla cultura moderna, senz'altri aggettivi, così come la teoria della relatività o la poetica leopardiana.
La reale dicotomia che ancora persiste nel nostro sistema formativo è fra la cultura del conoscere e quella del fare. Un retaggio che riecheggia la distinzione medievale fra arti liberali e arti meccaniche. E' necessaria l'integrazione fra il sapere teorico e astratto e il sapere empirico.
Per esempio utilizzare un motore di ricerca per internet appartiene più al sapere empirico, cioè a un tipo di sapere in cui è prevalente l'addestramento.

MotoriDiRicerca.IT - La guida ai motori di ricerca
www.motoridiricerca.it

Ma lo studente che voglia elaborare una tesi che non sia una semplice somma di siti web deve essere in possesso di quella conoscenza teorica che gli permette di scegliere fra i vari siti web e all'interno degli stessi. Compito della nuova formazione deve essere perciò quello di integrare queste due diverse forme del sapere, come d'altra parte si legge nell'intervista di Panzarani.
Sembra però che, nei programmi scolastici, si tenda a tener separate le due forme di conoscenza, così coma una volta nei vecchi istituti tecnici l'addestramento alle macchine utensili era tenuto separato dalla tecnologia dimenticando che il buon funzionamento di una macchina utensile non consiste solo nel manovrare correttamente delle leve e degli interruttori, ma anche nell'avere un'adeguata conoscenza delle caratteristiche dei materiali lavorati. E perché questa integrazione avvenga è importante il ruolo dei formatori.
Ritornando ad internet, ma il discorso può essere allargato ad altri campi, è opportuno che, quale che sia la disciplina, il formatore sappia collegare l'insegnamento della materia con l'impiego di internet, stimolando la sensibilità dei discenti verso approfondimenti e ricerche più specifiche. Ma in primo luogo dobbiamo pensare ai formatori dei formatori.

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Se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica...

( 2 Giugno 2004 )

( scritto da Carlo Penco Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Precedenti interventi che appartengono al thread (linea di discussione) del quale questo intervento fa parte:

Formazione, Ricerca e Innovazione

"Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori" (Redazione FGB - 30 Aprile)
(questo intervento in Argomenti riprendeva il testo dell'intervista che Roberto Panzarani --docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma-- ha rilasciato a TILAB, il Centro di Ricerca di Telecom Italia)

"Formazione e Innovazione" (V. Bertolini - 2 Maggio)

"Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy" (D. Navarra - 2 Maggio)

"Qual è la responsabilità del formatore? (E. Volli - 16 Maggio)

"Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti..." (R. Panzarani - 25 maggio)

"Ricerca e innovazione: le condizioni per un miglioramento quasi spontaneo" (G. Correale - 31 maggio)

Il commento di Giacomo Correale all'intervista del Prof. Panzarani mi sembra completamente condivisibile, ma non sufficiente. In un'ottica strategica, la sua conclusione mi sembra affrettata e quindi monca.

Se c'è declino e, quindi, bisogna risollevarsi, bisogna che ci sia una strategia. Le analisi sul declino, come quella del Prof. Panzarani e di Giacomo Correale girano sempre attorno ad una postazione/valutazione preoccupata della condizione ambientale (il declino, con una più o meno efficace individuazione delle sue cause), una valutazione delle risorse disponibili con ipotesi di una loro differente ottimizzazione (la scuola, la formazione, la ricerca e da ultima l'innovazione).

Ma per avere una vera strategia (e senza l'ambizione di proporre una strategia restiamo sempre sul terreno della pura aspirazione e dell'esortazione) ci vuole una visione: che non si ottiene dalla semplice antitesi del declino (sarebbe semplice).

Il risollevare il paese dal declino vuol dire aspirare ad un paese differente, ma nessuno esplicita come dovrebbe essere. Indirettamente sappiamo che dovrebbe essere più competitivo, dovrebbe avere più cultura, più ricerca, più efficienza. Ma la somma di queste cose non realizza automaticamente una visione in positivo. Temo che non sia tanto reticenza, ma proprio un buco, un vuoto: sappiamo cosa non vorremmo più essere ma non siamo in grado di dire cosa vorremmo diventare. Ma se vogliamo creare un movimento contrario al declino bisogna individuare un set minimo di obiettivi e valori verso cui indirizzare le forze.

Da questo punto di vista per me è stato illuminante l'intervento a un recente convegno del Prof. Rullani che penso possa essere considerata una voce autorevole. Rullani ha detto che si dovrebbe partire da una valorizzazione di quello che c'è prima di invocare uno sviluppo di cose che non ci sono (ricerca, industria tecnologicamente avanzata, ecc.) e impegnare le aziende (ma si potrebbe facilmente estendere l'invito anche ad altri soggetti: tecnici, intellettuali, forze sociali e politici, istituzione, ecc.) ad investire in conoscenza relazionale e in conoscenza riflessiva: quindi guardare un po' fuori dalla situazione corrente e interrogarsi di più su gli altri (come creare alleanze, fare squadra, trovare obiettivi e valori comuni, quello che in Francia c'è e si chiamano "Valori repubblicani") e capire meglio che cosa funziona ancora e come lo si può amplificare e migliorare (ad es. il Made in Italy, le piccole imprese, le multinazionali tascabili, il settore aerospaziale, il nuovo cinema italiano, lo Slowfood, il modello Sudtirolese di convivenza multietnica, ecc.).

Poi bisogna anche avere l'umiltà di guardare in basso e partire dai fondamentali: ha senso parlare di portare nella scuola Internet o l'inglese se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica? Ha senso parlare di innovazione e di ricerca quando i nostri piccoli imprenditori gestiscono le loro imprese (4.000.000 di imprese) ancora con carta e penna e con un sapere gestionale inferiore a quello dei mercanti di Firenze (quelli che inventarono la partita doppia)? Ha senso discettare tra ricerca di base e ricerca avanzata quando l'ADSL si ferma ad Eboli e nel Sud le mafie contano più dello Stato?

Ma in ogni caso mi piacerebbe che ci si interrogasse di più su che tipo di Italia vorremmo costruire per il futuro.

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Ricerca e innovazione: le condizioni per un miglioramento quasi spontaneo

( 31 Maggio 2004 )

( scritto da Giacomo Correale Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Precedenti interventi che appartengono al thread (linea di discussione) del quale questo intervento fa parte:

Formazione, Ricerca e Innovazione

"Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori" (Redazione FGB - 30 Aprile)
(questo intervento in Argomenti riprendeva il testo dell'intervista che Roberto Panzarani --docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma-- ha rilasciato a TILAB, il Centro di Ricerca di Telecom Italia)

"Formazione e Innovazione" (V. Bertolini - 2 Maggio)

"Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy" (D. Navarra - 2 Maggio)

"Qual è la responsabilità del formatore? (E. Volli - 16 Maggio)

"Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti..." (R. Panzarani - 25 maggio)

Ho trovato interessante la proposta del Prof. Panzarani di una "triangolazione" tra formazione, innovazione e ricerca. E mi sembra importante la sua sottolineatura del ruolo e della responsabilità professionale dei formatori aziendali nel trasferimento dei frutti della ricerca nell'innovazione applicata ai prodotti dei settori tecnologicamente avanzati. Questo è uno sviluppo coerente con la concezione del formatore come facilitatore dei processi e dei rapporti sociali nel mondo delle imprese.

Se però il tema centrale non è quello della formazione aziendale, ma quello del declino del nostro Paese, da cui si è partiti con il riferimento all'articolo di Gros Pietro [ * ], io credo che occorra andare più in là della constatazione del fatto che in Italia si fa poca ricerca, e che il nostro Paese sia poco presente nei settori più avanzati. Queste sono alcune tra le cause immediate, magari le più importanti, del declino del Paese. Ma le cause vere sono "all'intorno", e su queste occorre prima di tutto agire. E io penso che non basti un impegno allo spasimo sui propri ruoli professionali, ma occorra anche "fare squadra" per modificare questo intorno. In questo senso va bene sicuramente un'alleanza tra formatori, ricercatori e imprenditori. Ma questa alleanza avrebbe vita stentata se funzionasse come un sistema chiuso, e non aperto.

Cosa significa muoversi come sistema aperto? Significa partire dalla constatazione del fatto che questo Paese non è più il Bel Paese, il "giardin dello imperio", ma un posto dove si vive e si lavora male. Non è un caso che le imprese straniere si insedino ovunque in Europa, in Francia (vedi Toyota), in Germania, in Irlanda eccetera, e quasi mai in Italia. Non è un caso che abbiamo perso anche la leadership del turismo. E partendo da questa constatazione, chiedersi il perché. E pensare allora a ciò che manca: alla diffusione e al livello della istruzione generale (humus della ricerca!); a un ambiente non compromesso da condoni e rifiuti urbani; a una pubblica amministrazione al servizio del cittadino come persona e delle aziende come produttrici di valore; a un vero mercato non soffocato da monopoli, corporazioni, "ponti di comando" a cui accedono in pochi e sempre gli stessi, spesso per privilegio e non per merito; a un livello di trasparenza e di correttezza negli affari da paese civile; a una giustizia equa e tempestiva; a una informazione degna di questo nome eccetera. In tutti questi campi l'Italia si colloca, anzi è degradata in posizioni ben più allarmanti di quelle che occupa nei settori produttivi più avanzati (vedi le graduatorie di Transparency eccetera). E io credo che queste ultime dipendano dalle prime, piuttosto che viceversa.

Non credo che chi si occupa di formazione, ricerca, innovazione possa dire: "Tutto ciò va al di là delle mie competenze". Se la conoscenza è importante, più importanti sono l'apprendimento e i comportamenti che la rendono possibile e positiva. Se non vi è dubbio che chi si occupa di formazione non può perdere il contatto con l'innovazione tecnologica, e per certi versi anticiparla, deve anche contribuire a far crescere una classe dirigente responsabile (verso la propria azienda, i suoi clienti, i suoi stakeholder, prima che verso una non meglio definita "società"). Per chi è ai vertici di una azienda non basta essere un buon manager (questo è quasi un must), ma occorre essere in qualche modo, come diceva Richard Normann già una trentina di anni fa, un "uomo di stato". Credo che se "il contesto" migliorasse (e ci sono diversi esempi di persone che hanno ottenuto risultati significativi in questo senso, purtroppo ostacolati dall'entropia del sistema) ricerca avanzata e innovazione rifiorirebbero quasi spontaneamente.

[ * ]
Ndr: L'intervista che Roberto Panzarani ha rilasciato a TILAB inizia con la seguente citazione delle parole di Gian Maria Gros Pietro:
«"Il modello Italia ha finito il suo ciclo". L'allarme lanciato su "Affari e Finanza" di Repubblica da Gian Maria Gros Pietro, presidente di Autostrade e docente di Economia Manageriale all'Università di Torino, rischia di non essere più una voce isolata. Ordini in calo, contrazioni della domanda e del fatturato (i dati Istat relativi al mese di agosto parlano di un calo del 5,4% per il fatturato industriale e del 3,7% della produzione rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso) rallentamento della competitività sono tutti fattori negativi che non possono essere trascurati. La denuncia del manager, che è stato Presidente di ENI ed IRI, si concentra soprattutto su un dato: in Italia si fa poca ricerca e molta innovazione di prodotto, questo fa si che: "siamo dove non c'è molto futuro, ma non siamo dove il futuro è importante, ovvero nella microelettronica, nell'Information Technology, nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie e nuovi materiali che sono i fattori chiave della prossima rivoluzione industriale".»

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Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti...

( 25 Maggio 2004 )

( scritto da Roberto Panzarani Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Precedenti interventi che appartengono al thread (linea di discussione) del quale questo intervento fa parte:

Formazione, Ricerca e Innovazione

"Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori" (Redazione FGB - 30 Aprile)
(questo intervento in Argomenti riprendeva il testo dell'intervista che Roberto Panzarani --docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma-- ha rilasciato a TILAB, il Centro di Ricerca di Telecom Italia)

"Formazione e Innovazione" (V. Bertolini - 2 Maggio)

"Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy" (D. Navarra - 2 Maggio)

"Qual è la responsabilità del formatore? (E. Volli - 16 Maggio)

Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti in relazione alla mia intervista a T Lab. Sono contributi che approfondiscono il tema e allargano le prospettive da me delineate nelle riflessioni fatte con altrettante idee che ci aiutano ad affrontare questo tema dell'innovazione in modo profondo e da una prospettiva, quella della formazione, di cui oggi si discutre molto ma ben poco si riesce a fare e si fa.
Detto questi vorrei aggiungere solo poche righe e speriamo di riprendere al più presto la riflessione nelle varie sedi : Università , Aziende, Associazioni.ecc.
A questo proposito segnalo che il 28 settembre presso la sede dell'UCIMU in Milano in margine alla mia intervista Sistemi Formativi di Confindustria ha deciso di organizzare per i suoi soci un Convegno dal titolo "Formazione, Innovazione , Ricerca dal vantaggio invisibile al valore della conoscenza"con vari protagonisti delle aziende e del mondo accademico.
A giorni sarà pronto il programma. Segnalo anche il Convegno dell'AIF l'Associazione Italiana Formatori che parlerà delle " Formazioni Visibili e invisibili: come e con chi si apprende oggi nelle organizzazioni? " che si terrà a Trieste l'1 e il 2 luglio p.v..

La difficoltà di parlare dell'argomento in questione è data ,come peraltro anche gli altrri colleghi hanno osservato, dalla sua veloce obsoloescenza .
A questo riguardo fra le varie notizie uscite vorrei segnalarne una che mi ha particolarmente colpito riportata in un recente articolo di Federico Rampini su Repubblica : "US is losing its dominance in the sciences" , gli Stati Uniti stanno perdendo il loro dominio nelle scienze.
L'allarme è fondato su dati e indicatori precisi . Una misura della competizione internazionale nel sapere è il numero di brevetti . Qui gli Usa conservano una lunghezza di vantaggio su tutti, ma il margine si assottiglia di anno in anno, con un calo dal 60 al 52 % in un ventennio, mentre in alcuni settori specifici i paesi asiatici sono già passati in testa. In sostanza l'Asia tallona la supremazia degli Stati Uniti anche in questo campo : brevetti, scoperte ,invrenzioni, formazione
universitaria.
Dopo aver svuotato "dal basso" l'industria tecnologica americana, portandole via le mansioni operaie , le potenze asiatiche ora alzano il tiro e lanciano la sfida a livello superiore.
Le aiuta indirettamente ,ricorda Rampini, la guerra di George Bush al terrorismo : le restrizioni dei visti negli Stati Uniti incoraggiano un'emigrazione alla rovescia, il "ritorno dei cervelli" in Cina e in India, due giganti in pieno boom economico.
La priorità alla sicurezza si ritorce contro la scienza in altro modo . Una conseguenza dell'11 settembre è stato il giro di vite sulle procedure per i visti di ingresso agli stranieri. I nuovi controlli hanno allungato a dismisura i tempi di rilascio anche per i visti di studio. Questo rallenta e ostacola l'arrivo di quei talenti stranieri - docenti, ricercatori o studenti - che da sempre contribuiscono alla forza delle università americane. Il numero dei laureati stranieri che hanno
presentato domanda per un dottorato di ricerca negli USA nel prossimo anno accademico è sceso del 25%..
L'impatto negativo della nuova politica dei visti coincide con una fase in cui emergono come poli di attrazione la Cina e l'India non più solo per crearvi fabbriche a buon mercato , ma per costruirvi centri di ricerca avanzata, design ,progettazione.
Negli anni '90 un terzo delle nuove imprese fondate sulla Silicon Valley era stato creato da imprenditori di origine asiatica . Oggi una parte di loro sta tornando a casa . Un dottorato a Berkeley , Stanford o Harvard è solo una prima tappa prima di tornare a far carriera in patria , non l'anticamera per l'emigrazione negli Stati Uniti.
A questo proposito consiglierei di leggere l'ultimo libro di Richard Florida sull' Ascesa della Classe Creativa edito in Italia da Mondadori.
Dove si parla di tutte le caratteristiche importanti che i l" luoghi" debbono avere per l'attrazione del Capitale Umano dalla " diversità "in poi..forse è un libro che dovrebbero leggere di più anche nell'America attuale e naturalmente anche da noi.

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Qual è la responsabilità del formatore?

( 16 Maggio 2004 )

( scritto da Elisabetta Volli Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Leggendo, in sequenza ravvicinata, prima l'intervista di Panzarani poi le due riletture che Bertolini e Navarra ne hanno fatto, ho potuto apprezzare come ciascuna di queste ultime abbia colto e scelto di analizzare determinati concetti espressi da Panzarani.
Da parte mia che cosa ho da dire? Qualche idea sparsa, una riscrittura delle annotazioni e delle sottolineature che ho fatto mentre leggevo.
L'aspetto che, nell'insieme di ciò che Panzarani ha detto, vedo come più caratterizzante è quello della formazione intesa come rimedio contro l'obsolescenza. Il formatore, in altri termini, insegna a restare al passo coi tempi. Questo è un primo requisito, un 'talento' (e uso intenzionalmente questo termine) che l'innovatore dovrebbe però possedere da sè.
La domanda che mi sorge spontanea è di conseguenza la seguente: innovatori si nasce o si diventa?
Perché se lo si nasce ("e io modestamente lo nacqui", direbbe Totò: mi si perdoni la battuta), allora c'è poco da insegnare. O forse, al contrario, ci sarebbe invece molto da insegnare all'innovatore sotto altri versanti, ma di certo non riguardo... all'innovare. Sarà semmai chi l'innovazione ce l'ha nel sangue che ha qualcosa da insegnare, ma non è detto che egli (o "lei") sia anche un bravo formatore... e allora resta sempre spazio al ruolo del formatore. Mi sembra che Panzarani abbia particolarmente a cuore la questione del ruolo. E ha ragione da vendere, perché l'attività del formatore è caratterizzata dal conoscere e dall'applicare codici comunicazionali funzionali a uno scopo: il fare da 'cerniera' (" ho sempre insistito molto sull'identità del nostro ruolo, che ho sempre pensato dovesse essere prima di tutto quello di fare da cerniera per far dialogare i vari 'attori' che operano nell'impresa" (Panzarani)).
Se invece innovatori si diventa, il formatore ha ancor più campo libero, perché il training che egli propone sarà "volto alla cura del 'saper essere innovatore' " (Panzarani).
Nell'un caso, come nell'altro, il formatore ha comunque un proprio spazio, modellabile in rapporto alle esigenze.
Ma... alle esigenze di chi?
Qui sta il punto per me più interessante. Bertolini afferma, giustamente, che per usare a dovere il web serve poter disporre di saperi specifici. D'accordo, ma chi è che ne ha bisogno? Conosco ventenni che non solo questi saperi settoriali ma anche i codici di decrittazione li hanno nel loro DNA (sono 'decoders' per natura, usando la terminologia proposta da Navarra). E io sono stata a contatto di gomito con un top managment per il quale invece... altro che mutazione genetica sarebbe servita!
Con ciò voglio dire che è il top management ad essere arretrato e il formatore, più che tentare di evitare che i relativi codici linguistici, i concetti che da sempre esso padroneggia, invecchino, deve purtroppo sudare sette camicie per svecchiarli. Le nuove generazioni (e chi fa ricerca è per lop iù una new generation) non hanno bisogno di quegli occhiali, (dei 'saperi specifici') che il formatore deve fornire invece al top management.
Allora, io mi chiedo se non sia vero che l'innovazione viene soltanto da chi non ha potere decisionale, cioè... da chi fa ricerca (e mai dal top management). Le dimensioni culturali e di potere decisionale tra le quali il formatore si trova (la ricerca da un lato e il top management dall'altro -ma... il formatore appartiene a qualcuna di queste? a tutte e a nessuna?!?!) sono per lo più inconciliabili perché seguono logiche molto diverse.
Qual è, allora, la responsabilità insita nel fare formazione? (Navarra: "responsabilities for the formation of the managers of the future") Quella di rendere fluida la comunicazione fra queste due dimensioni? O c'è qualcosa di più?
C'è poi la questione del " willing to share" che, a proposito di management, Navarra sfiora elegantemente e che non è affatto di poco peso.

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Training means working alongside researchers

( 12 Maggio 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

TILAB interview with Roberto Panzarani has been translated into English.

See also the comment to the interview by Daniele Navarra: "Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy"

"TILAB (Telecom Italia Lab) is the research arm of the Telecom Italia Group"... [continued on www.telecomitalialab.com ].

Roberto Panzarani teaches "Innovation Processes in Organisations" at the Psychology Faculty of La Sapienza University in Rome and has worked in the training sector in Italy for many years. He was head of training at Alitalia, where he founded the Alitalia Business School. Other positions he has covered include Chairman of the AIF (Italian Association of Trainers) and of Governance (Association for the Promotion of Knowledge and Skills for the Exercise of Management Responsibilities).
In 1999 he served as advisor to the Prime Minister's Office in drafting the Master Plan for training. As an expert in Business Innovation, he works with the senior management of Italy's leading companies.

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Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy [12 May]

( 2 Maggio 2004 )

( scritto da Daniele Navarra Cliccare sul link per scrivere all'autore )

When I was first contacted by the Editor of the Giannino Bassetti Foundation and asked to make a commentary on Prof. Panzarani's interview [12 May : translated into English] published on TILAB Magazine [see the item of 30 April, in Italian], I immediately felt the intellectual challenge to comment about the opinions of an expert of his calibre. Not only he is one of the main experts on Business Innovation Processes, but during his career he has also been President of a number of associations, has founded the Alitalia Business School, and works with the top management of the most well known Italian corporations.

Prof. Panzarani's message is that the creation of knowledge and an appropriate focus on the production of intangible assets are the key elements for the success of the modern enterprise. What is now widely known as the 'Information Society', based on the capillary diffusion of Information and Communication Technology (ICT), is a major influence to the changing social and economic circumstances of today's business and organisational realities. This in turn invites business leaders to acknowledge educators' new roles and responsibilities for the formation of the managers of the future. Not only for the impact that their intertwined effects are likely to have on the performance of business firms, and consequently in supporting sustained economic growth, but also to benefit from the continuous drive for innovation that a better educated population can make reality in all areas of social organisation.

Therefore, investment in research and education have to be considered a relevant factor in support of innovation. But what is the situation in Italy? As Prof. Panzarani points out, there has always been little investment for research in Italy. Nevertheless, it should be noted that innovation (even if 'sommersa') has always been a characteristic of Italy's Small and Medium Sized Enterprises (SMEs). Indeed Italian SMEs have always been highly innovative based on a very simple industrial structure: small firms for local production and distribution (which increases competition and diversity) and relatively big firms for export markets (which facilitates scale economies and competitiveness in international markets). However, the situation has changed.

Italy's status as an advanced nation is a case in point, especially for the imminent enlargement of the European Union towards the East. There is an unsaid expectation and yet a revealing move of many Italian SMEs of the North and the North East moving in countries like Romania some of the less glamorous industrial activities and production facilities to take advantage of cheaper labor costs. Therefore the erosion of the Italian industrial base is twofold. On one hand there is an increasing trend which sees the relocation of SMEs industrial activities abroad, but on the other there has not yet been the attempt to create a leadership in those research and innovation intensive sectors which constitute the next industrial revolution, namely: microelectronics, Information Technology, biotechnology and nanotechnology.

Arguably, in Italy augmenting investment and other resources available for research in the areas mentioned above is a priority, but the returns of the investment will also be supported by other initiatives. According to Prof. Panzarani linking effectively scientific knowledge and research and top-management decision making is also a main concern. The educators therefore become complementary investments for the use, filtering and dissemination of the impressive body of knowledge available on the Internet. As a metaphor we could make a comparison with the 'decoders' and the 'gateways'. The function of the former being to interpret and anticipate the signals of change, whereas the latter are used in supporting and enhancing communication and interaction between systems that do not normally talk to each other. That can happen within and across business and government organisations and then ultimately informing their top management by formulating in a language that is easy to understand the priorities of action for the future. This also indicates of great consequence the need to recognise the roles of scientists, educators and researchers as important actors for endorsing innovation and change. Something which represents a paradigm change in Italy's industrial and organisational reality.

Before concluding I would like to say that the themes touched in Prof. Panzarani's interview for TILAB are many and I apologise if for space and time constraints it has not been possible to appraise them all in this occasion. Nevertheless, in my opinion, much attention was given to 'what' should be done, probably not enough on 'how' it should be done. For instance, Prof. Panzarani stresses the importance of cross feritilisation for closing the gap between business and academic research following the American tradition. Setting up something similar to the Boston Innovation Center, Prof. Panzarani suggests, could help better the performance of Italy Inc. This is a very important point, unfortunately in Italy many sectors of society, business and also the public administration might not be totally ready in embracing such a revolution. 'Innovation comes from diversity' Prof. Panzarani emphasises, but this requires first and foremost that diverse actors will be indeed willing to share their knowledge and expertise in the attempt to resolve a common problem, which again points to importance of the 'how' it should and could be done.

Lucio Stanca, the Italian Minister for Innovation and Technologies, has outlined the Italian Agenda for Innovation in a presentation [*] at the Department of Information Systems at the London School of Economics. His presentation has emphasised the potential for innovation that new technologies can offer when properly applied in government and of the need to incentivise their diffusion in Italian businesses and society. In order to achieve that he points to the need of an holistic approach, from the establishment of the appropriate conditions to create and spur innovation in businesses, to the design of an appropriate regulatory framework. However, as Piero Bassetti has highlighted in his lecture at the London School of Economics [*]: 'research and discovery are not the same thing as innovation. A discovery becomes innovation only when the increase in "knowledge" implicit in every discovery becomes technology and actuating power (that is, social capital) that the discovery implements'. I believe the identification of other potential mechanisms for innovation, and their actual impacts in a variety of contexts and organisations, in relation to the important points made by such distinguished representatives of the public and the private sector could constitute the opportunity for a constructive discussion hosted by the Giannino Bassetti Foundation.

[*]

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Formazione e Innovazione

( 2 Maggio 2004 )

( scritto da Vittorio Bertolini Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Formazione fa rima con innovazione. Ovviamente non è solo questione di identità fra le sillabe che seguono alla vocale su cui posa l’accento tonico. Nell’intervista a Roberto Panzarani "Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori", apparsa sul periodico di Telecom "@tilab" e qui ripresa con l'item del 30 aprile, il tema della connessione fra formazione e processi innovativi potrebbe apparire scontato, quasi la scoperta dell’acqua calda, se non fosse corroborato da indicazioni concrete circa il ruolo della formazione nel realizzare le condizioni adeguate per implementare la cultura dell’innovazione. Riprendendo alcune considerazioni sul declino industriale dell’Italia di Gian Maria Gros Pietro apparse sul supplemento “Affari e Finanza” di Repubblica, dove fra le componenti di questo declino vi è la costatazione che il nostro Paese è scarsamente presente nei settori chiave della prossima rivoluzione industriale, Panzarani affronta il nodo sulla sfida che la cultura della conoscenza pone al mondo della formazione. Se nel passato la stabilità economica ha fatto dimenticare la triangolazione fra formazione, ricerca e innovazione, oggi la connessione tra formazione e istituti di ricerca assume un peso strategico.

Scrive Panzarani: «Il processo di obsolescenza, che investe inesorabilmente le tecnologie, coinvolge la formazione con una velocità sconosciuta in altre epoche». Secondo la mia opinione è compito perciò del formatore porsi come intermediario fra le esigenze del top management e la velocità con cui si spostano il mercato delle idee e il mercato intellettuale. In questo contesto, il formatore non deve solo essere in grado di svolgere il proprio ruolo specifico ma è «sempre più impegnato ad affinare gli strumenti della decisione manageriale, in contesti difficili dove sono tante le incognite e le criticità».
Secondo Panzarani il formare significa lavorare fianco a fianco con la ricerca «per decriptare e usare al meglio il flusso di conoscenze che passano attraverso il web».
Poiché il web è una fonte inesauribile di conoscenza la formazione collegata all’innovazione non può prescindere dalla conoscenza del web. Com'è risaputo l'inglese è la lingua del web, e questo non tanto per i testi a cui si può accedere, ma in quanto tutte le funzioni che si devono utilizzare sono descritte in inglese. Mi sia permesso un esempio banale. In calce alla pagina su cui sto lavorando vi sono, tra le altre, tre funzioni: Preview, Save, Delete Entry. Ma al di là di questa banalità, che guardando alla realtà dell'insegnamento delle lingue nel nostro Paese non è, forse, proprio così banale, occorre riconoscere che navigare in Internet non è solo pigiare dei tasti o manovrare il mouse, ma bensì sapersi muovere in una conoscenza che viaggia a 360 gradi e interferire con essa; e per far questo occorre disporre di saperi specifici.

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Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori [7 giugno]

( 30 Aprile 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Roberto PanzaraniAbbiamo ricevuto dal Prof. Roberto Panzarani [*] il testo dell'intervista che ha rilasciato, qualche tempo fa, a TILAB (il Centro di Ricerca di Telecom Italia). L'abbiamo letta con interesse e abbiamo deciso di pubblicarla perché pensiamo che presenti numerosi spunti di discussione in relazione agli argomenti qui trattati.

Alla pubblicazione dell' intervista [12 May : translated into English] in questo sito hanno fatto seguito i seguenti commenti:

[*] Roberto Panzarani è docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma.
Da molti anni opera nella formazione in Italia. E' stato tra l'altro responsabile della formazione in Alitalia, dove ha fondato l'Alitalia Business School. E' stato Presidente dell'AIF (Associazione Italiana Formatori) e Presidente di Governance (Associazione per la promozione della conoscenza e delle competenze per l'esercizio delle responsabilità direzionali).
Nel 1999 è stato consulente per la Presidenza del Consiglio nella stesura del Master Plan per la Formazione. Esperto di Business Innovation lavora con il top management delle principali aziende italiane

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Argomento:
Formazione, ricerca e innovazione
(Indice da Settembre 2003 ad Agosto 2004)