LA REPUBBLICA
28 DICEMBRE 2002
UMBERTO GALIMBERTI 
L'UOMO IMPOTENTE CONTRO LA SCIENZA
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Arriva dalla Florida la notizia che è stata clonata una bambina.
L'annuncio è della scienziata Brigitte Boisselier che dirige Clonaid,
un istituto di ricerca collegato con la setta dei Raeliani, il cui
fondatore, Claud Vorilhon, sostiene di aver avuto negli Anni Settanta
contatti con extraterrestri che gli avrebbero rivelato di aver creato
la vita sulla terra con operazioni di ingegneria genetica.

Il legame tra l'istituto di ricerca e la setta religiosa non deve far
sorridere e liquidare la notizia tra le bufale di fine anno. Fra
pochi giorni sapremo, dopo il confronto tra il Dna della neonata e
quello della madre, se le cose sono andate esattamente così.  In ogni
caso notizie d'agenzia ci informano che tra qualche settimana altre
nascite di bebè clonati sono in arrivo, anche in non ben precisati
paesi del Nord Europa.  Se non è oggi sarà domani, ma l'evento già
c'è, e si colloca in quel limite dove la scienza e la fantascienza
sembrano aver reso evanescente il loro confine.

Se fosse tutto qui potremmo anche congratularci con noi stessi
nell'assistere alla nostra capacità di realizzare i sogni che da
secoli hanno esaltato la nostra mente.  Ma le cose non stanno
propriamente così, perché negli ultimi decenni del secolo scorso si è
verificato un profondo capovolgimento tra l'uomo e la tecnica, nel
senso che la tecnica procede a partire dalle proprie potenzialità
prescindendo dalle finalità che gli uomini si propongono.
L'imperativo della tecnica è che: "Si deve fare tutto ciò che si può
fare", e con quali strumenti l'uomo può impedire a chi può di non
fare ciò che può?

Con la politica?  Ma questa già da tempo rimette le sue decisioni
all'economia, e questa si muove tenendo conto delle disponibilità
tecniche, per cui il luogo della decisione è sempre meno la politica
e sempre tecnica.

E la morale?  Né quella cristiana che bada alle intenzioni, né quella
laica che guarda alle finalità che gli uomini si propongono sono 
all'altezza dell'età della tecnica, perché la tecnica non ha scopi, 
e quelle che noi leggiamo come sue "finalità", altro non sono che 
gli "effetti" delle sue procedure.  L'unico scopo che la tecnica 
riconosce come proprio è solo il suo autopotenziamento, in base 
all'imperativo che già abbiamo ricordato: "Si deve fare tutto ciò 
che si può fare".

Nei primi decenni del secolo scorso Max Weber aveva formulato il
concetto di un"'etica della responsabilità" per cui bisogna assumere
come criterio dell'azione non l'intenzione di chi agisce ma l'effetto
della sua azione, ma poi aveva aggiunto: "Quando gli effetti sono
prevedibili".  Ora, è proprio della scienza e della tecnica produrre
effetti imprevedibili, effetti che spesso neppure ci si era
"proposti", ma che «risultano» dalle procedure di laboratorio.  A
questo punto sia l'etica cristiana, sia quella laica, sia quella
weberiana della responsabilità cosa possono fare di fronte ai 
"risultati" della tecnica?  Possono solo chiedere a chi può di non
fare ciò che può.  Possono implorare di fermarsi, di fare un passo
indietro.  E tutti capiscono che qui l'etica diventa patetica.

Questo è il passaggio epocale in cui ci troviamo, dove l'epocalità è
data dal fatto che la storia che abbiamo vissuto ha conosciuto la
tecnica come quel fare manipolativo che, non essendo in grado di
incidere sui grandi cicli della natura e della specie, era
circoscritto in un orizzonte che rimaneva stabile e inviolabile.
Oggi, come la clonazione dimostra, come gli organismi geneticamente
modificati evidenziano, anche quest'orizzonte rientra nelle
possibilità della manipolazione tecnica, il cui potere di
sperimentazione è senza limiti perché, a differenza di quanto
accadeva agli albori dell'età moderna, dove la sperimentazione
scientifica avveniva in laboratorio, quindi in un mondo
"artificiale", distinto da quello "naturale", oggi il laboratorio è
diventato coestensivo al mondo, ed è difficile continuare a chiamare
"sperimentazione" ciò che modifica in modo irreversibile il mondo
naturale e quello umano.

Quando le condizioni poste "per ipotesi" lasciano effetti
irreversibili, non è più possibile continuare a inscrivere la tecnica
nel "giudizio ipotetico" che ha come sue caratteristiche la
problematicità, la reversibilità, la provvisorietà, la
perfettibilità, la falsificabilità, ma occorre inscriverla nel
"giudizio storico-epocale" che, tra i giudizi è il più severo, perché
ciò che accade una volta è accaduto per sempre e in modo
irrevocabile.

A questo punto la domanda: se l'uomo non esiste a prescindere da ciò
che fa, che cosa diventa l'uomo nell'orizzonte della "sperimentazione
illimitata" e della "manipolazione infinita" dischiusa dalla tecnica?
E' questa una domanda essenziale perché oggi la tecnica dispone
l'uomo di fronte a un mondo che si presenta come "illimitata
manipolabilità", e perciò la natura umana non può essere pensata come
la stessa che si relazionava a un mondo, che è poi il mondo che la
storia ci ha finora descritto, ai suoi limiti inviolabile e
fondamentalmente immodificabile.  Eppure ancora oggi l'umanità non è
all'altezza dell'evento tecnico da essa stessa prodotto e, forse per
la prima volta nella storia, la sua sensazione, la sua percezione, la
sua immaginazione, il suo sentimento si rivelano inadeguati a quanto
sta accadendo.  Infatti la capacità di produzione tecnica, che è
illimitata, ha superato la capacità di immaginazione che è limitata e
comunque tale da non consentirci più di comprendere, e al limite di
considerare «nostri» gli effetti che l'irreversibile sviluppo tecnico
è in grado di produrre.

Quanto più si potenzia l'apparato tecnico, quanto più si
ingigantiscono i suoi effetti, tanto più si riduce la nostra capacità
di percezione in ordine ai processi, ai risultati, agli esiti, per
non dire degli scopi di cui siamo parti e condizioni.  E siccome di
fronte a ciò che non si riesce né a percepire né a immaginare il
nostro sentimento diventa incapace di reagire, al nichilismo attivo
della tecnica iscritto nel suo "fare senza scopo" si affianca il
nichilismo passivo, denunciato da Nietzche, che ci lascia "freddi",
perché il nostro sentimento di reazione si arresta alla soglia di una
certa grandezza.  E così da analfabeti emotivi assistiamo
all'irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità della
produzione tecnica che cresce su se stessa al di fuori di qualsiasi
orizzonte di senso.

Nata sotto il segno dell'"anticipazione", di cui Prometeo, “colui che
pensa in anticipo", è il simbolo, la tecnica, nel nostro tempo,
finisce col sottrarre all'uomo ogni possibilità anticipatrice, e con
essa quella responsabilità e padronanza che deriva dalla capacità di
prevedere.  In questa incapacità si nasconde per l'uomo il massimo
pericolo dovuto al fatto che la tecnica da condizione essenziale
all'esistenza umana si traduce in causa dell'insignificanza del suo
stesso esistere.

La tecnica infatti può segnare quel punto assolutamente nuovo nella
storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più: "Che cosa
possiamo fare noi con la tecnica", ma “che cosa la tecnica può fare
di noi".  E la clonazione umana, a cui, se non oggi, tra non molto
arriveremo, mi pare l'espressione letterale della drammaticità di
questa domanda.