v-mov.gif (1033 byte)Questo documento è un ramo della Rassegna stampa sull'annuncio di clonazione umana dato in dicembre 2002 da Brigitte Boisselier, presidente di Clonaid (società di ricerca collegata con la setta dei Raeliani)

Data: 10 gennaio 2003
Da: Margherita Fronte
Oggetto: I possibili (se pur limitatissimi) campi di applicazione della clonazione umana a scopi riproduttivi

C'è la tendenza generale ad affermare che la clonazione umana a scopi riproduttivi sarebbe assolutamete inutile. Se ciò è in gran parte vero, non vanno però dimenticati i se pur limitatissimi possibili campi di applicazione. Non citarli mi sembra un po' come truccare il dibattito.

E' vero che la tecnica è gravemente imperfetta. Per ottenere un clone, infatti, occorrono ancora troppi tentativi. Inoltre, anche quando l'esperimento riesce, i cloni presentano spesso anomalie e deformità a carico di diversi organi, tali da comprometterne la sopravvivenza. Molti muoiono poche ore dopo la nascita, e anche quelli che sopravvivono hanno gravi problemi di salute. La stessa Dolly soffre di artrite, e sembra invecchiare più precocemente rispetto agli esemplari della sua specie. Alla fine del 2002 uno studio condotto dal gruppo di Rudolf Jaenisch, del MIT di Boston, in collaborazione con Ryzo Yanagimachi, ha parzialmente chiarito il perché di tante difficoltà. Da un'analisi dell'attività di oltre 10.000 geni, effettuata su decine di topi clonati, è emerso che all'origine della bassa efficienza della tecnica e delle deformità di molti organi ci sono centinaia di anomalie nelle sequenze genetiche dei cloni. Per inciso: le anomalie genetiche potrebbero essere legate al processi di riprogrammazione genetica che la cellula uovo attua sul DNA del nucleo della cellula somatica, quando questo viene introdotto al suo interno, e ciò rende il problema di difficilissima soluzione.
Ammesso e non concesso che però una soluzione si trovi, il dibattito sull'opportunità di clonare gli uomini non potrebbe più avvalersi di questi argomenti (come invece accade in questi giorni). Resterebbero le opposizioni forti, di natura etica. Ma qualsiasi opposizione diventa debole se dà l'impressione di "non dirla tutta".

E qui sta il punto. A un anno di distanza dall'annuncio della clonazione di Dolly, la rivista New England Journal of Medicine pubblicava un articolo che analizzava le possibili applicazioni della tecnica all'uomo (referenza: Cjohn A. Robertson: Human cloning and the challenge of regulation. The New England Journal of Medicine 389: 119-121, 1998).
Pur ammettendo che i campi di applicazione della tecnica sono molto pochi, l'autore ne sottolineava alcuni. Gli impieghi più probabili della clonazione sarebbero tesi a dare una possibilità in più alle coppie che non riescono ad avere un figlio, e a garantire a chi è portatore di una malattia genetica di avere un bimbo sano. Oggi, per esempio, una coppia in cui uno dei partner sia completamente sterile - un caso in effetti rarissimo - deve ricorrere alla donazione di un ovulo o di uno spermatozoo da parte di un estraneo per poter avere un bambino. La situazione non è molto diversa quando c'è il rischio elevato che il nascituro abbia una malattia genetica, trasmessa da uno dei genitori che ne è portatore sano. Allo stato attuale, la coppia può decidere di adottare un bambino, di ricorrere alla donazione di un gamete da un estraneo, oppure può scegliere di rischiare, tenendo sotto controllo la gravidanza in modo da poter scegliere di abortire se dalle analisi risulta che il bambino è malato. In futuro la coppia potrebbe decidere di clonare il coniuge non portatore, per avere un figlio certamente sano.
Ma le possibili applicazioni della tecnica non sono finite. Se un bambino malato di leucemia ha bisogno di un trapianto di midollo osseo e non trova un donatore compatibile, molti genitori oggi decidono di avere un altro figlio, sperando che abbia le caratteristiche adatte per poter donare un po' del suo midollo al fratello maggiore. Purtroppo soltanto nel 25 per cento dei casi il nuovo nato sarà compatibile. Ma se il bimbo che nasce fosse una copia geneticamente identica al fratellino malato, cioè un suo clone, il trapianto sarebbe assicurato.
E' evidente che quelli citati da Robertson sono casi limite e poco frequenti. Ignorarli però non aiuta a fare chiarezza.